domenica 29 agosto 2021

UNA SERENA RIFLESSIONE SUL FINE VITA E SULLA RACCOLTA DELLE FIRME [A MAIORI] PER L’EUTANASIA LEGALE

Non è legata alla raccolta di firme di stamattina, a quello che leggo su Facebook, alle discussioni innescate da un argomento così divisivo, che hanno tirato in ballo - mi riferisco a una polemica che non fa onore né ai pro né ai contro - finanche la statua della Madonna al centro del lungomare di Maiori.

Il 16 gennaio 2013, a commento di un episodio di cronaca avvenuto in Belgio, dove due fratelli gemelli, quarantacinquenni, sordi dalla nascita, che stavano perdendo la vista, avevano fatto ricorso all'eutanasia, in un ospedale di Bruxelles, scrissi: «Se la vita è un dono di Dio, ed io lo credo fermamente – un gran bel dono, nonostante le difficoltà che contrassegnano il nostro cammino – va rispettata. Sempre e in ogni caso. Comprendo la sofferenza dei due gemelli di Anversa, e di tante persone colpite da disabilità, da malattia, da solitudine, tormentate nel corpo e nella psiche, ma non dimentico che il dolore fa parte della natura umana, del nostro essere. Non è un optional che possiamo accettare o rifiutare. Pur inorridito dal gesto compiuto, consentito peraltro dalla legge belga, provo compassione per quel medico che ha iniettato la sostanza mortale – spero che non l'abbia fatto per denaro -, ma vorrei conoscere se poi egli è riuscito ad andare a letto tranquillo.

“Non uccidere” ammonisce il quinto comandamento. “Euthanatos” - “buona morte” - per me non vuol dire scegliere quando, come e dove. "Vegliate - ammonisce il Signore -, perché non sapete né il giorno né l’ora" (Mt 25,13). Vuol dire essere pronti: in sintonia col Datore della vita, in pace col prossimo e con se stessi.»

Quattro anni dopo, il suicidio assistito in una clinica svizzera di Fabiano Antoniani, Dj Fabo, l’artista quarantenne, tetraplegico e cieco dall’estate 2014 in seguito a un incidente, non mi fece cambiare opinione, nonostante il profondo rispetto di una scelta così dolorosa, così drammatica. Scelta dolorosa drammatica, ripeto: che mi riporta alla mente il caso di Eluana Englaro. E quello di tanti italiani, che hanno preso la strada della Svizzera per porre fine alla loro esistenza terrena.

Io penso e agisco - credo di agire - da cattolico. Ma - sottolineo, a scanso di equivoci -, non mi permetto di demonizzare chi non la pensa come me. Credo che in una società pluralista e democratica, come la nostra, nessuno possa imporre - su un tema così delicato, il testamento biologico, la regolamentazione per legge del fine vita - i propri valori etici e religiosi a chi non condivide la stessa fede. Non accetto le strumentalizzazioni ideologiche, da qualunque parte esse provengano. Ma non nascondo che già la parola, eutanasia, mi mette sconcerto. Proprio perché - lo ribadisco - considero la vita un dono di Dio e penso che spetti a lui deciderne inizio e fine. Già, ma la sofferenza, mi si obietterà! Che ci piaccia o meno, essa - dalle origini - fa parte della condizione umana.

Per quanto mi riguarda, non delegherei a nessuno di scrivere "the end" al mio cammino su questa terra. Non sottoscriverei mai un biotestamento. Anche se mi dovessi trovare nelle condizioni più disperate.

Capisco però che il mio modo di pensare è sorretto dalla forza della fede cristiana.

Capisco anche che vivo in uno stato laico, aconfessionale, nel quale forse i cattolici praticanti sono pure in minoranza: non posso, quindi, imporre i miei principi a chi ha un'altra visione dell'esistenza. A chi non si riconosce nei miei stessi valori.

Ribadisco quello che ho scritto in una poesia: non mi permetto di giudicare chi, stanco e depresso, getta il bastone all'angolo di una via. Ne ho rispetto, anche compassione (*).

©Sigismondo Nastri

 

(*) Compassione: "Sentimento di pietà verso chi è infelice, verso i suoi dolori, le sue disgrazie, i suoi difetti; partecipazione alle sofferenze altrui" (Treccani). "Umana cosa è aver compassione degli afflitti" (Boccaccio).


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