giovedì 29 ottobre 2020

IL CORONAVIRUS E IL “MEMENTO” DELLA TV

 Memento mori è il motto dei trappisti, monaci cistercensi di stretta osservanza che, nel chiuso dei loro conventi, isolati dal mondo, dedicano le giornate alla preghiera e al lavoro, nel segno tracciato da San Benedetto da Norcia. Ed è anche il monito col quale, una volta, il sacerdote accompagnava l’aspersione di un pizzico di cenere sulla testa dei fedeli nel primo giorno di quaresima, quello che segna la fine delle baldorie carnascialesche e l’inizio dei quaranta giorni di preparazione alla Pasqua.  Poi, forse perché considerato troppo lugubre, lo si è sostituito con l’invito a convertirsi e a credere nel Vangelo.

Nella messa in latino sono/erano chiamate memento due preghiere: una, all’inizio del canone (la Commemoratio pro vivis: “Memento, Domine, famulorum famularumque tuarum”); e una dopo la consacrazione (la Commemoratio pro defunctis: “Memento, etiam, Domine, famulorum famularumque tuarum qui nos praecesserunt cum signo fidei, et dormiunt in somno pacis”).

Ora, in tempo di pandemia,  memento è diventato il tratto distintivo dei vari telegiornali: che a orari stabiliti – di giorno e di notte – ci danno, in competizione tra loro per il primato nella notizia, la somma di contagiati, asintomatici e sintomatici, ricoverati, morti a causa dell’epidemia di coronavirus. Con tutti i dettagli annessi e connessi. Rendendoci, così, la vita più complicata, più tesa. Insomma, mettènnece paura.

Per carità di patria, non ci aggiungo le esternazioni di virologi ed epidemiologi, faccendieri e sputasentenze che si fanno concorrenza sul piccolo schermo. E dicono tutto e il contrario di tutto.  Mi ricordano quello che – si racconta – facesse, nei tempi andati, il superiore del convento trappista. Passava, a intervalli regolari, davanti alle celle dei frati, bussava e recitava la formula di rito: “È passata un’altra ora della tua vita, ricordati fratello che devi morire”.

©Sigismondo Nastri