martedì 23 novembre 2021

UN PENSIERO PER ALDO FALIVENA

La notizia della morte di Aldo Falivena, avvenuta ieri a Roma, in veneranda età, mi riempie il cuore di una tristezza indicibile. Lo ricordo come punto di riferimento (anche se non ho avuto la fortuna di collaborare con lui) quando, a metà del secolo scorso, iniziai l'attività di cronista in Costa d'Amalfi.

Egli, pure molto giovane, era già il capo della redazione di Salerno de Il Giornale (non "Il Giornale di Napoli", come alcuni hanno scritto), un quotidiano campano (diretto, se non sbaglio, da Alberto Consiglio) che si distingueva - nel mondo dell'informazione di allora - per la qualità delle firme, dei servizi, delle cronache. Un giornale tutto da leggere, insomma.

Nell'estate del 1955 Falivena fece il dono, a noi corrispondenti della Costiera, di pubblicare i nostri ritratti, eseguiti in modo scherzoso dal pittore Ignazio Lucibello, sotto il titolo "I componenti la stampa amalfitana" (ved. immagine). Ci dedicò, insomma, quasi mezza pagina. Mica posso scordarmelo!

Ho imparato molto da lui: leggendo i suoi articoli su Epoca, Corriere d'informazione, ecc. (pure Radiocorriere, perché no?), e seguendo i tanti bellissimi programmi che realizzava per la Rai.

Con Aldo Falivena se n'è andato un maestro di giornalismo e di vita: gentile, discreto, con quello sguardo profondo ma buono, rassicurante, che lo avvicinava a due dei suoi amici più cari, il poeta Alfonso Gatto e il pittore Mario Carotenuto. E se n'è andato, insieme, un grande salernitano, del quale la città dovrebbe conservare la memoria.


Al fratello Pietro, a tutti i familiari, esprimo sentimenti di vivissimo accorato cordoglio.

mercoledì 17 novembre 2021

QUANDO LA SANITÀ IN COSTIERA ERA ALL'ANNO ZERO. MA POTEVA CONTARE SU MEDICI EROI. RICORDO DEL DOTTOR FRANCESCO COLANGELO


Capitò tanti anni fa, quando l'Asl si chiamava Usl e il presidio ospedaliero di Castiglione di Ravello non esisteva ancora. Ci scrissi un articolo. Uno dei tanti sulla malasanità in Costa d'Amalfi.
Successe che un poveretto, un riggiolaro di Vietri sul Mare, che stava eseguendo un lavoro di pavimentazione in una casa di Minori, fu colpito da infarto. A quel tempo non c'erano sul territorio il 118, la Croce Rossa e nemmeno la Protezione civile. Per fare un esempio, ad Amalfi, in caso di necessità, si faceva capo a una delle due farmacie dove per abitudine un paio di medici (Dio li abbia in gloria) stazionavano per qualche ora di mattina e di pomeriggio.
Ma vado al fatto.
Il malcapitato fu adagiato sul sedile posteriore di un'auto e condotto velocemente all'ambulatorio della Usl di Maiori. L'uomo che lo accompagnava fermò la macchina davanti all'ingresso, salì di corsa le scale invocando a voce alta soccorso. Si imbatté in una dottoressa, che nella struttura aveva un ruolo non secondario: le spiegò ansimando la situazione, e insistette per un intervento immediato. Ma quella, frastornata, o forse presa da un attacco di panico, cominciò a correre per i corridoi, ad aprire tutte le porte, gridando: «Aiuto, chiamate un medico!», dimenticando che lei stessa lo era.
A soccorrere il malcapitato si precipitò giù in strada il dottore Francesco Colangelo, che alla Usl ricopriva il ruolo di coordinatore sanitario.
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Il dottor Francesco Colangelo, medico di famiglia, come lo si definiva allora, ma anche eccellente ostetrico, rimane nella memoria di chi lo ha conosciuto per quello che ha dato alla comunità di Maiori, e dell'intera Costiera, come professionista, dirigente sanitario, amministratore pubblico. Per la disponibilità nei confronti di quanti si rivolgevano a lui, per la carica di umanità e la simpatia che lo caratterizzavano. Non so quante donne abbia accompagnato nel percorso della maternità, quanti bambini abbia contribuito a far venire al mondo. Ricordo una bella caricatura del pittore Ulderico Forcellini, che lo ritraeva mentre era in attività col forcipe, esposta nel suo studio.
Medico di stampo antico, colto, preparato, dotato di grande carisma, riusciva a fronteggiare le situazioni più delicate: sempre pronto a raggiungere, sia di giorno che di notte, quando veniva chiamato al capezzale di qualche infermo, le località più impervie del territorio. Poteva contare su due fidi scudieri: Tanino, autista della sua mitica Cinquecento, e addetto a regolamentare l'accesso dei pazienti alle visite, e Costabile, che fungeva da infermiere, effettuava prelievi venosi e iniezioni. Era il tempo in cui le visite domiciliari rappresentavano una costante. Oggi sono scomparse dall’agenda del cosiddetto medico di base.
Ci eravamo conosciuti ad Amalfi in occasione di un suo incontro con l'onorevole Francesco Amodio del quale ero segretario, e s'era subito creato tra noi un rapporto di viva e sincera cordialità, di reciproca stima, di condivisione anche di scelte politiche, via via sempre più consolidatosi. Quando mi sposai nel 1971 e andai ad abitare a Maiori non ebbi dubbi nell’affidare a lui la tutela della salute mia e dei miei familiari. Seguì le gravidanze di mia moglie, poi la crescita dei miei figli.
Il professore Giuseppe Di Landro, che pure gli è stato amico, ha raccontato recentemente su Facebook un episodio che mi sembra significativo: «Avevamo trascorso un periodo di riposo a Scanno, dove ci recavamo ogni anno tra l’ultima settimana di luglio e la prima di agosto. La mattina della partenza eravamo indecisi se fare ritorno a casa attraverso la spettacolare Gola del Sagittario e poi prendere a Cocullo l’autostrada o salire al Passo Godi per Villetta Barrea e Roccaraso. Alla fine decidemmo per quest’ultimo percorso. Giunti a Caianello il telefono squillò: mia figlia mi comunicava il decesso del dottore Colangelo nel suo paese natale in Abruzzo. Come fu triste il ritorno e ancora oggi penso che se ci fossimo trattenuti ancora un po’ avremmo potuto raggiungerlo per dargli l’ultimo saluto. Oggi voglio ricordare l’uomo sempre disponibile ad aiutare il prossimo con umiltà e in silenzio e il medico pronto dove si richiedeva il suo intervento. È stato un esempio di dedizione al lavoro e un esempio di generosità verso quelli che avevano bisogno e soprattutto una persona che nella sua semplicità ha lasciato un bel ricordo nei suoi assistiti e negli amici». Un sentimento di riconoscenza largamente condiviso.
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Ma torno all'episodio che stavo raccontando. Accertatene le condizioni, e prestatigli le prime cure, le uniche possibili in quella difficile situazione, il dottor Colangelo decise per il ricovero immediato dell'infartuato all'ospedale più vicino, quello di Cava de' Tirreni. E diede disposizioni in tal senso.
Giustamente, l'autista dell'ambulanza fece presente che, senza un sanitario a bordo (nessuno si scandalizzi: era prassi pressoché abituale) non sarebbe partito. L'unico medico disponibile, ma riluttante fino al rifiuto, era un fresco laureato, utilizzato come "iniettore". Colangelo dovette impiegare tutta la sua autorità per convincerlo a salire sull'automezzo, che finalmente andò, come una freccia, a sirena spiegata.
A Cetara l'infermo ebbe un arresto cardiaco. Il giovane medico se la vide brutta. Fortuna volle che si trovasse nei paraggi un esperto collega di Tramonti, chiamato temporaneamente a prestare servizio alla condotta di Cetara "a scavalco". Con una ardita manovra riuscì a rimettere in moto il cuore del poveretto.
L'ambulanza riprese il viaggio verso l'ospedale di Cava, dove però quel disgraziato giunse solo per esalarvi l'ultimo respiro.
Questa era, una volta, l’organizzazione sanitaria in Costa d’Amalfi. Così malandata da poter reggere – fino a quando non s’è potuto disporre del Presidio ospedaliero di Castiglione di Ravello, come filiazione dell’Ospedale Ruggi di Salerno - soltanto per l’eroismo di medici della statura umana, professionale, morale del dottore Francesco Colangelo.
S.N.