lunedì 30 aprile 2018

RIFLESSIONI NOTTURNE. IL PRESIDENTE DELLA CAMERA DEI DEPUTATI, ROBERTO FICO, E LA COLF NAPOLETANA

Una piccola riflessione sul caso che ha posto il presidente della Camera dei Deputati, Roberto Fico, al centro dell’attenzione dei media. In un servizio televisivo, realizzato dalle Iene, si sostiene che abbia una colf nella casa di Napoli, pagata in nero. Il politico pentastellato, terza autorità dello Stato, nega e spiega che si tratta semplicemente di un’amica della sua compagna che l’aiuta nelle faccende domestiche. Del resto lui non risiede lì, ma a Roma, dove ha una collaboratrice domestica per la quale paga regolarmente i contributi previdenziali. Non entro nel merito della questione. Mi piace il giornalismo d’inchiesta, non “questo” finto giornalismo, becero, gridato, forse ad usum Delphini, condotto con agguati a persone inconsapevoli, forse anche sprovvedute (non mi riferisco al personaggio pubblico), con utilizzo di telecamere e microfoni mascherati. Certo, se il fatto fosse dimostrato sarebbe grave. Come per qualsiasi altro cittadino. L’assunzione di lavoratori in nero – oltre ad essere eticamente inaccettabile - comporta sanzioni per mancata iscrizione all’Inps e per omesso versamento dei contributi. Ciò premesso, mi sembra incontrovertibile che un rappresentante del popolo, deputato a scrivere, discutere e approvare le leggi (ancor più se chiamato alla guida di un ramo del parlamento), debba/dovrebbe essere insospettabile per ciò che riguarda l’osservanza delle regole (quelle – per l'appunto - che disciplinano il lavoro subordinato). Quindi, Fico non può sottrarsi a dare all'opinione pubblica una spiegazione chiara, convincente. Il mio sospetto è che la vicenda non sia nata a iniziativa delle Iene, ma che possa esserci stata una soffiata dall’interno dello stesso movimento del quale Fico è uno dei leader. Un leader scomodo, emergente, da sgambettare subito perché potrebbe – chissà! – diventare un intralcio alle ambizioni della concorrenza. Non sarebbe la prima volta nel panorama politico italiano. Dall’epoca giolittiana a quella democristiana.

domenica 29 aprile 2018

RIFLESSIONI NOTTURNE. IL BUSINESS E IL GIOCO DEL CALCIO


Ricordo che ascoltavo con mio padre, alla radio, Tutto il calcio minuto per minuto. Poi, quando le partite cominciarono ad essere trasmesse sullo schermo, papà escogitò un sistema: seguiva la telecronaca passeggiando su e giù per il corridoio, con la sigaretta in bocca, senza guardare le immagini sullo schermo. Eliminando la visione in diretta delle azioni di gioco teneva sotto controllo la pressione ed evitava di innervosirsi ad ogni decisione arbitrale che gli sembrava ingiusta, specialmente se era in gara la sua squadra del cuore.
E' quello che, da un po', cerco di fare anch'io. Non voglio più incazzarmi. Figuriamoci per una partita dal risultato scontato come quella di ieri sera. Scontato - sottolineo - perché la designazione dell'arbitro Orsato mi aveva subito fatto arrivare al naso il fieto del miccio. La conferma l'ho avuta al 18° minuto, quando ha espulso (decisione mirata?) l'interista Vecino. Ho azionato il telecomando e mi sono spostato su un altro canale Sky (dove c'era un programma scemo - I 4 hotel, condotto dallo chef stellato Bruno Barbieri - ma rilassante).
Il calcio è soltanto un business (chi tene 'o grano - nessuno più degli Agnelli - macìna: determina, condiziona e, se vuole, serogne). Non è più spettacolo sportivo, sana competizione, nemmeno sui campetti di periferia (ci sono ragazzini appena svezzati già in mano ai... procuratori e, quel che è più grave, con la complicità delle famiglie). 
Se questo è vero, ed è vero, perché devo farmi 'o sanghe àceto (come si diceva una volta)?
Non ho visto la partita, dunque. E stanotte, credetemi, ho dormito sereno.

sabato 28 aprile 2018

IL DIARIO DALLA PRIGIONIA DI GENNARO BRASILETTI


Il mio intervento alla presentazione del Diario dalla prigionia
Mò t’ ‘o ccont’
di Gennaro Brasiletti
 Amalfi – salone Morelli di Palazzo San Benedetto
sabato 21 aprile 2018, ore 19.00


Avere nelle mani questo diario, Mò t' 'o ccont'  di Gennaro Brasiletti (edito da Terra del Sole), sfogliarne le pagine, mi procura una profonda emozione. Le sue testimonianze dalla guerra, dalla prigionia, sono importanti, sono pagine di una storia non ricostruita attraverso le cosiddette fonti, gli atti conservati negli archivi. Questa è una storia scritta dal basso, autentica, vissuta in prima persona. Chiamiamola pure microstoria, per essere più precisi, perché fatta di tanti piccoli, preziosi tasselli, ma essi, messi insieme, organizzati armonicamente, come qui è stato fatto, contribuiscono a comporre la Storia con la “S” maiuscola.
Mi viene la pelle d’oca pensando alla precarietà delle situazioni in cui Brasiletti ha potuto scrivere, ai limiti di tempo e di spazio a disposizione, ai pericoli a cui era esposto. "Anche se ancora pochi di noi sono testimoni – scriveva Mario Rigoni Stern, scrittore ed ex deportato -, questo nostro passato non deve restare nell’oblio perché ora i nostri ventri sono sazi e le case calde, perché abbiamo un letto pulito per dormire e i nostri nipoti sorridono compassionevoli se ci vedono raccogliere e portare alla bocca le briciole che rimangono sulla tovaglia o se mettiamo da parte un pezzo di pane rimasto sulla tavola”.
Il diario può essere un’agenda, un quaderno, una successione di fogli in cui si registrano avvenimenti e impressioni personali. Magari appunti. Credo che tutti ci abbiamo provato, dai tempi della scuola. Ed è una forma di scrittura che viene da lontano, se è vero che si considerano diari i commentari di Senofonte, di Giulio Cesare, le stesse Confessioni di sant’Agostino. Ci sono diari che hanno interesse scientifico, filosofico, artistico, letterario.
Il diario di guerra, di prigionia, è tutt’altra cosa: perché vi è trasposta, come in un cardiogramma, l’esperienza drammatica vissuta. Ce ne sono tanti, che hanno assunto forma di opere di grande interesse storico-letterario: cito quelli di Pietro Jahier, Scipio Slataper, Emilio Lussu, Carlo Emilio Gadda, Ardengo Soffici, dello stesso Benito Mussolini (per quanto riguarda la prima guerra mondiale); e poi di Mario Rigoni Stern, che ho appena ricordato, Carlo Alberto Carocci, Primo Levi, Carlo Levi, Anna Frank (per ciò che riguarda la dittatura fascista, il genocidio perpetrato dalla Germania nazista nei confronti degli Ebrei, la seconda guerra mondiale) 
Sembra dimostrato che scrivere un diario abbia un impatto positivo sulla persona. Che aiuti a superare momenti difficili, regolando le proprie emozioni. Lo sostiene uno psicologo dell’università della California, Matthew Liebermann. Giusto, d’accordo. Ci mancherebbe! Ma una cosa è scrivere un diario in condizioni normali, stando comodamente seduto in poltrona o sul divano, altra cosa in quelle estreme provocate da peripezie, sofferenze, paure.  
L’esperienza della guerra, della prigionia soprattutto, è così traumatica da riuscire a trasformare la scrittura in uno strumento di sopravvivenza. Mettersi ad annotare puntigliosamente quel che avviene giorno per giorno (per Brasiletti è importante anche se piove o c’è il sole o fa freddo) è come avere consapevolezza della propria  esistenza in vita: per trovare rifugio nel pensiero degli affetti familiari, che è sempre denso di nostalgia e rimpianto.
La particolarità del diario, nel caso di Brasiletti,  è che vi annota situazioni, eventi, sensazioni, non  a posteriori, sulla base di quel che gli è rimasto nella mente, ma – come si dice oggi - in tempo reale.  E non c’è neppure bisogno che sia scritto correttamente, mettendo punti e virgole al posto giusto. Perché non si tratta di un esercizio letterario,   ha valore semplicemente di memoria.  Se mai, documento lo diventa col tempo, quando – come ci tocca di fare questa sera - viene consegnato alla storia di un intero paese, dato che la sua vicenda personale si inserisce in una situazione di più vaste proporzioni, tale da coinvolgere la coscienza collettiva.
Tra i diari di guerra, riferiti al secondo conflitto mondiale,  che hanno valenza letteraria –  ne ho citato alcuni -  il più famoso è certamente quello di Anna Frank. La protagonista, una ragazzina di famiglia ebraica, immaginando di scrivere lettere a un'amica, racconta giorno per giorno gli avvenimenti accaduti nell’alloggio segreto di Amsterdam, dove è nascosta insieme alla sua famiglia per sfuggire alle persecuzioni naziste contro gli Ebrei. Due anni di isolamento (dal 1942 al 1944), poi viene scoperta e deportata nel campo di concentramento di Bergen-Belsen, in Germania. Vi muore il 12 marzo 1945. Il diario, ritrovato e pubblicato a guerra finita, commosse il mondo. Lo commuove ancora.
Lo stesso Mussolini – scusatemi la citazione - scrisse un diario, da combattente, durante la prima guerra mondiale. Poche notazioni, essenziali. Esempio:   “Ore quindici. Raffica di artiglieria austriaca. Crepitio di proiettili. Schianto di rami. Turbine di schegge. Un grosso ramo, stroncato da una granata, si è abbattuto sul mio riparo. Ci sono due feriti nella mia compagnia. Passa un morto del 24° battaglione. Un altro morto degli alpini. Il bombardamento è finito. È durato un’ora. I bersaglieri escono dai ripari. Si canta.” Giusto per completezza d’informazioni, aggiungo che il futuro duce del fascismo rimase ferito in una esercitazione, il 23 febbraio 1917. Operato in un ospedale da campo a Ronchi, non tornò in linea. Trascorse una lunga convalescenza. Dove? qui ad Amalfi.
Bastano poche righe a volte per condensare gli avvenimenti di un’intera giornata. Come Gennaro Brasiletti sia riuscito a farlo, a mio avviso, ha dell’incredibile. Ma lo ha fatto, credo, con piena consapevolezza, già pensando al valore che la sua testimonianza avrebbe avuto in futuro, altrimenti non si sarebbe preoccupato di raccomandare di non censurare il suo scritto.
E’ una vicenda, la sua, che per molti aspetti rassomiglia a quella di Angelino Petraglia, un signore di Piaggine, autore di un testo pubblicato col titolo “Riflessioni sulla seconda guerra mondiale e ricordi di prigionia”. Nella premessa, Petraglia scrive: “Durante il mio internamento in Germania annotavo, di tanto in tanto, su pezzettini di carta, i miei pensieri e le mie impressioni su quanto accadeva intorno a me e sul tenore di vita condotto da noi prigionieri. Come facessi a scrivere quelle note, non lo so, date le continue perquisizioni e l'assidua vigilanza cui eravamo sottoposti.” Più o meno capitava così anche a Gennaro Brasiletti. E non “di tanto in tanto” ma con una cadenza pressoché quotidiana. Solo che, sulla base degli appunti raccolti, Petraglia ci ha costruito un racconto più articolato. Ma sto parlando di una persona con un diverso bagaglio culturale, mentre il nostro confessa che non è un dotto, ha solo la terza classe elementare. Nella società anteguerra, con un livello altissimo di analfabetismo, era già tanto. Ecco perché il suo impegno è ancora più commendevole.
Torno all’argomento di questa mia chiacchierata. Dal 1984 a Pieve Santo Stefano, in Toscana, ad iniziativa di un giornalista, Stefano Tutino, è stato creato un “piccolo museo del diario” dove si raccoglie e conserva memoria. Le storie di persone, persone comuni voglio dire, che hanno lasciato una traccia di sé, trovano accoglienza in questo luogo dove passato e futuro si fondono, dove anime, sensibilità differenti convivono pacificamente.
Anche a Genova, nell’ambito del Dipartimento Scienze della Formazione dell’Università, è stato creato un Archivio della scrittura popolare che  ha lo scopo di raccogliere, catalogare e studiare esempi di scrittura privata: in particolare, epistolari, diari e memorie di emigranti, soldati, prigionieri. In questo caso, con finalità eminentemente scientifiche. Documenti fondamentali per lo studio degli eventi, per la loro ricostruzione. Non occorre neppure che chi scrive un diario di guerra e di prigionia abbia fatto chissà che di straordinario, è importante che ne sia stato testimone attento e attendibile.
Gennaro Brasiletti lo è stato, nella sua semplicità, nel suo candore, nel suo spirito di sopportazione di tante traversie, nel suo appellarsi alla fede: testimone, come dicevo, attento e attendibile.

RIFLESSIONI NOTTURNE. IL LINGUAGGIO DISEDUCATIVO DI FACEBOOK


Se insultassimo di meno, su Facebook, e ragionassimo di più, sulla base di argomentazioni serie e concrete, e cestinando senza neppure guardarle le fake news, daremmo sicuramente un bell'esempio ai giovanissimi. 

Invece perseveriamo in comportamenti diseducativi - ambigui, volgari, offensivi -, in particolare quando ci lasciamo travolgere dalla passione sportiva (ho già terrore di quello che leggerò tra oggi e dopodomani su Juventus e Napoli) o politica (dalla malattia di Giorgio Napolitano, che ha risvegliato istinti bestiali, alla dialettica in atto - in certi casi, becera -  per la formazione del governo). 
Ricordiamoci che l'esasperazione del tifo sportivo genera atti di pura delinquenza come quelli avvenuti qualche giorno fa, ad opera dei supporters della squadra italiana, dopo l'incontro tra Liverpool e Roma.
Poi, magari, continueremo a lamentarci per la deriva della società e del nostro vivere quotidiano.

venerdì 27 aprile 2018

RIFLESSIONI NOTTURNE. PROSOPAGNOSIA E SUPERSTIZIONE


E’ accaduto. Pochi minuti fa. Stavo rientrando a casa, dopo una breve passeggiata, con Chanel al guinzaglio. Ho incrociato un signore che mi ha salutato calorosamente. Sono rimasto perplesso, perché non riuscivo a capire chi fosse. Lui s’è accorto del mio imbarazzo e mi ha spiegato che c’eravamo incontrati un paio di volte in circostanze ufficiali. 
Mi sono scusato spiegandogli che ho difficoltà a riconoscere i volti (prosopagnosia?) specialmente se si tratta di persone con le quali non ho una frequentazione abituale. “Sì – mi ha risposto -, è vero, anche mio padre aveva questo problema. Negli ultimi tempi, prima di morire”.
Mi son sentito arrivare... una mazzata in testa. E, pur non essendo superstizioso, non ho rinunciato a un gesto scaramantico. Oltretutto, avevo già la mano in tasca.

domenica 15 aprile 2018

RIFLESSIONI NOTTURNE. LA BELLEZZA FEMMINILE ATTRAVERSO IL TEMPO

I canoni della bellezza femminile sono mutevoli, come le stagioni. Fin dalla notte dei tempi. Forse da quando Eva offrì da morsicare ad Adamo la mela, con la conseguenza che furono cacciati dal Paradiso terrestre. E’ un concetto che mi trova d’accordo. 
Faccio qualche esempio. La Venere di Milo è diversa da quella di Botticelli. Gina Lollobrigida, all’epoca del suo massimo splendore (ricordo di averla vista a Ravello, quando si girava Il tesoro dell’Africa: roba da far mancare il fiato) era diversa da Jennifer Jones, che pure lavorava in quel film, e ancor più da Elisabeth Taylor (che ebbi modo di incrociare, una volta, nella piazza di Amalfi).
Marylin Monroe, che per la mia generazione ha rappresentato il massimo del sex appeal, diceva. “Ho sognato di diventare tanto bella da far voltare le persone che mi vedevano passare.” Come puntualmente avvenne.
Poi alla donna in carne s’è sostituita quella filiforme, imposta dalla moda. Mentre oggi si ricorre alla chirurgia estetica per rimodellare  linee e forme con botulino e silicone. La donna “genuina, verace” cede il posto quella… “restaurata”. 
Ecco qui due ragazze d’inizio Novecento: cugine, si chiamavano entrambe Consolina Santero. Una salernitana (a destra), l’altra parigina (a sinistra). Un duplice esempio di grazia, di stile,  di raffinata eleganza per quel tempo.

RIFLESSIONI NOTTURNE. GUIDO DA VERONA E LE BELLE SARTINE D'ITALIA

Sorpresa! Dalle carte ammucchiate in una soffitta viene fuori questo libro di Guido Da Verona, "Lettera d'amore alle sartine d'Italia", rosicchiato, ammuffito, finito lì chissà quando e come. 
L'autore, di famiglia ebraica, assolutamente non veronese, fu di moda nei primi decenni del Novecento. Nei suoi romanzi - scrive la Treccani - "tradusse in libertine avventure di una società mondano-borghese, e in nostalgici languori d'un nomadismo decadente, l'ideale eroico e superomistico del D'Annunzio", di cui fu seguace, tanto da aggiungere quel "DA" tra nome e cognome in omaggio al Vate. 
Le "belle sartine d'Italia" le definiva "fiore d'ogni fiore"
A proposito: ce ne sono ancora? O appartengono a un mondo lontano, distrutto dal consumismo, scomparso finanche dalla nostra memoria?

sabato 14 aprile 2018

RIFLESSIONI NOTTURNE. TRUMP E I SUOI MISSILI "INTELLIGENTI"

Più che riflessioni, sono domande alle quali non riesco a dare risposta: 

- È possibile che Trump abbia lanciato i missili sulla Siria per distogliere l'attenzione dalle inchieste della giustizia americana a suo carico? 
- Perché non sono state rese pubbliche, se ci sono, le prove dell'uso di armi chimiche da parte del presidente siriano Bashar al-Assad?
- Perché non s'è atteso che gli specialisti dell'Opac (Organizzazione per la proibizione delle armi chimiche), inviati sul posto, svolgessero le indagini per l'accertamento dei fatti? 
- E se il bombardamento di questa notte fosse nient'altro che un avvertimento a Vladimir Putin per altre vicende, come sostenuto dai russi? Mi riferisco all'avvelenamento dell'ex spia Sergej Skripal, che ha compromesso i rapporti tra Regno Unito e Federazione russa. Non mi fido delle dichiarazioni del primo ministro britannico, Theresa May.

Sono molti i dubbi che mi si affollano nella mente.

RIFLESSIONI NOTTURNE. NON SERVE, MA A VOLTE UN GESTO SCARAMANTICO TI VIENE SPONTANEO


E' vero. Da parecchi giorni non mi si vede in giro. Dalla vigilia di Pasqua, credo. Per una forma influenzale, male di stagione, con codicillo di tosse e altri piccoli acciacchi. 
Ringraziando il Cielo, sto bene. Decisamente meglio dell'anno scorso quando, proprio a Pasqua, ebbi un mancamento in chiesa, durante la messa, finendo dritto dritto all'ospedale.
Non mi si vede in giro, dicevo. Resto a casa, più per volere della famiglia che mio, per tutelarmi da una eventuale ricaduta. Tutto qui.
Mia moglie, al ritorno dalla spesa, ha incrociato oggi una signora che l'ha trovata... stanca. "Si vede - ha aggiunto - che state facendo le... nottate con vostro marito". Non si riferiva a... nottate di passione. Per quelle non c'è più l'età. Mi son fatto la convinzione, così, che la signora pensasse ad altro, a qualcosa di brutto. E non potendo reagire col gesto dell'ombrello - sono troppo educato -, appena ho saputo la cosa, m'è venuto spontaneo... toccarmi (per puro divertimento, come quando mi riempio le tasche di cornetti e amuleti: giuro però che non sono superstizioso). 
La signora stia tranquilla: domani ho in programma di uscire. Per recarmi a messa.

giovedì 12 aprile 2018

RIFLESSIONI NOTTURNE. VENTI DI GUERRA SPIRANO VERSO LA SIRIA


L'eclettico presidente degli Stati Uniti Donald Trump provoca Vladimir Putin, da poco riconfermato alla guida della Federazione russa: "I nostri missili stanno arrivando: belli, nuovi e intelligenti!". 
Forze navali ed aeree vanno ad affollare l'area a ridosso dei confini di Siria e Turchia. 
A Sigonella, nel catanese, i piloti dei caccia bombardieri americani sono già in stato d'allerta. Non si sa cosa succederà, c’è da sperare che la ragione prevalga. Che si evitino ulteriori carneficine in un paese devastato e ormai allo stremo.
Il governo Gentiloni non può andare oltre gli affari correnti. I partiti prendono tempo per mettersi d’accordo e dare, ammesso che si superino i veti incrociati, un esecutivo legittimato ad assumere decisioni impegnative. Di estrema gravità. Come quella – Dio non voglia! - di una partecipazione diretta al conflitto, annunciato dal capo della Casa Bianca con la stessa disinvoltura con la quale si gioca alla play station.
Mi viene da pensare, con nostalgia, a Bettino Craxi, presidente del Consiglio dei Ministri, che nella notte tra l’11 e il 12 ottobre 1985, in una situazione di crisi, conseguente all'abbordaggio della nave Achille Lauro da parte di terroristi palestinesi, entrò in rotta di collisione con Donald Reagan al punto da ordinare ai carabinieri di impedire prevaricazioni delle forze militari USA proprio nella base militare di Sigonella. Per poco non si arrivò a uno scontro armato tra la nostra Vigilanza Aeronautica Militare (VAM) e i Carabinieri, da una parte, e i militari della Delta Force (reparto speciale delle forze armate statunitensi). 
L'Italia, quella notte, senza rinnegare le sue alleanze, agì da paese sovrano. Altri tempi!

RIFLESSIONI NOTTURNE. L'INCONTRO DI CALCIO REAL MADRID-JUVENTUS: NOTE A MARGINE

Simpatizzo per il Napoli, che è la squadra della mia regione, ma non mi strappo le vesti quando le cose non vanno per il verso giusto. Vivo il calcio con un certo distacco, mi diverto a veder giocare bene. Ieri sera la squadra italiana mi ha divertito, essendo riuscita a rimontare tre gol. 

Quanto al rigore, vorrei che ci fosse l'onestà intellettuale di ammettere che c'era (anche se alla tv italiana, in particolare a Canale 5, hanno fatto vedere un'immagine di comodo). "E' rigore quando fischia l'arbitro", ammoniva Boskov, allenatore della Sampdoria, che era un saggio. All'ultimo minuto? Fa parte del gioco.
Ma pure se l'arbitro avesse sbagliato, come capita a volte sui campi di calcio, non giustifico la gazzarra e gli insulti. Un comportamento oltretutto diseducativo. Se succede a livello internazionale, figuriamoci quello che può accadere nei tornei dei dilettanti. Le style c'est l'homme, dicono i francesi. Ecco, è mancato lo stile (anche da parte di Andrea Agnelli, che se l'è presa col designatore Collina). Meglio uscire sconfitti con dignità che con la vergogna di essersi comportati da cazzerelluse, come eravamo noi ragazzi quando, ad Amalfi, tiravamo calci a una palla di pezza (nell'immediato dopoguerra: non avevamo di meglio) sul Lastricato.
Ieri sera la vaiasseide è stata avvilente.

RIFLESSIONI NOTTURNE: SULLA SANITA', A SALERNO E A MILANO

Ho seguito, su Rai 1, l'inchiesta sull'ennesimo scandalo nella sanità lombarda, sfociato in sei arresti: quattro primari, di due importanti ospedali milanesi, una dirigente e un imprenditore. Corruzione - l'accusa - con tutto quello che ne consegue. 
Ho sofferto le pene dell'inferno per una voluminosa ernia del disco, che m'aveva infiammato il nervo sciatico. Per un anno sono stato costretto a far uso delle stampelle. 
All'inizio del 2017 mi rivolsi a un noto neurochirurgo di Salerno, che neppure conoscevo, per tentare la via dell'intervento chirurgico. L'avrei fatto in una struttura privata, a pagamento. Me lo sconsigliò: il rapporto rischi e benefici non era vantaggioso per me. 
Mi venne subito l'idea di andare a Milano, forse sarei approdato a uno dei due ospedali che sono al centro dell'indagine. Meno male che non l'ho fatto. Seguendo il consiglio del neurochirurgo, che ringrazio per la professionalità, la correttezza, l'onestà, mi sono affidato al fisiatra e alla fisioterapia. M'è bastato scendere al piano ammezzato del palazzo dove abito. Ora non ho più dolore, cammino liberamente, senza fatica. 
Altro che Milano! Preferisco la nostra sanità, con tutte le sue inefficienze, i suoi limiti, ma ancora impregnata di sensibilità umana. Che vale più di una medicina.

martedì 10 aprile 2018

TOBIA, IL PESCATORE DI AMALFI CHE NON SAPEVA NUOTARE


E’ morto ieri ad Amalfi Tobia (all'anagrafe, Antonio) Moretti, un pescatore vero, autentico. Uno che ha cavalcato il mare della Costiera con sudore, con cocciutaggine, con la passione di fare un lavoro, ereditato dagli avi, che rappresentava sostegno quotidiano per la sua famiglia. Di più: un apostolo del mare. Ne aveva il fisico, le caratteristiche somatiche, lo sguardo proiettato oltre la linea dell'orizzonte, anche se il suo campo d'azione era circoscritto allo specchio d’acqua nel quale si riflette il paesaggio amalfitano.
Pensando in questo momento a lui, e ai ricordi, che riaffiorano sempre più in quest'ultimo tratto del mio cammino, mi torna alla mente la mamma, "Seggilia" (Cecilia), donna buona, generosa, tenace, dallo spiccato animo popolaresco, come non ne esistono più. Qualità che aveva assimilate pari pari, già da ragazzo.
Fece parte dell’equipaggio amalfitano che disputò la prima edizione della Regata delle Repubbliche marinare il 1° luglio 1956 a Pisa, sotto lo sguardo del Capo dello Stato Giovanni Gronchi. Io c’ero, con Gigino de Stefano. Ci facemmo carico di molti aspetti organizzativi della manifestazione. Sul galeone col cavallo alato gareggiarono, insieme con lui, Mario Cretella, Bonaventura Amendola, Alfonso Gambardella, Luigi Consiglio, Franco Moretti, Antonio Gambardella, Andrea Esposito, Umberto Buonocore, Vincenzo Vuolo, Luca Fusco, Ferdinando D'Alessandro. Perdemmo, ma fu ugualmente una giornata di festa.
Tobia aveva mani grosse e nodose per gettare e tirare la rete, per ripararne le smagliature, per spingere la barca con la forza dei remi. Con quella dei suoi muscoli da superman. Una volta me ne occupai da cronista: gli era capitata una piccola disavventura, non so dire se un malore o un incidente. Scoprii che egli era in piena sintonia col mare, lo percorreva quotidianamente, di giorno e di notte, sapeva individuare i posti dov'era più pescoso senza bisogno di bussola e coordinate varie. Col mare, però, sapeva anche litigare, e vincere, come quando dovette combattere a denti stretti con le onde, dalla banchina del Pennello, per salvare barca e remi dalla tempesta.
Era un uomo buono, mite, saggio. Devotissimo del santo protettore, l'apostolo Andrea, pescatore come lui. Tobia amava intensamente il suo lavoro. Unico tallone d'Achille, non aveva mai imparato a nuotare.
© Sigismondo Nastri

QUELL'ANTICA CANAGLIATA NEI MIEI CONFRONTI DELL'ORDINE DEI GIORNALISTI

Quando si è avanti negli anni, e io lo sono, insorgono  problemi di memoria: nel senso che si sviluppano sostanziali modificazioni delle capacità mnestiche. In poche parole, ci si dimentica facilmente delle cose recenti, mentre ritornano alla mente episodi di un passato più o meno lontano. Figuriamoci se suffragati da documenti che vengono fuori dalle tante carte ammucchiate nei faldoni o  nei cassetti.
Ecco che mi ritrovo sottomano la lettera con la quale mi fu negata, anche in seconda istanza, l’iscrizione all’Ordine dei giornalisti nel 1960.
Racconto i fatti, partendo dall'anno precedente: estate o inizio autunno del 1959. Avevo presentato la domanda all’Odg della Campania, insieme a una cartella contenente – come è prassi - articoli firmati, siglati e non firmati (mai restituiti) e due certificati: quelli di Renato Angiolillo, direttore del Tempo, e di Nicola Sergio, direttore di Momento-sera, quotidiani autorevoli dei quali ero corrispondente da Amalfi.  Certificati che riguardavano anche i compensi percepiti. Una corposa documentazione, insomma,  già sottoposta, alcuni giorni prima, all’attenzione del presidente Adriano Falvo, in un incontro a Napoli mediato dal sindaco di Amalfi Francesco Amodio, deputato al Parlamento, del quale ero segretario. Ero tornato felice  per i complimenti ricevuti e l'assicurazione che non ci sarebbero stati problemi. A mio favore s’era prodigato pure Carlo Barbieri, direttore della Tribuna illustrata e presidente dell’Ordine dei giornalisti di Roma, che aveva preso a volermi bene, incoraggiandomi e stimolandomi, dopo che c’eravamo conosciuti nell’edicola di Andrea Savo ad Amalfi.
Stranamente, e non ho mai capito perché, la mia domanda fu respinta, come pure il ricorso, per "insufficienza di titoli", ma con la motivazione che le mie erano…  cronache locali.
Giurai che non ci avrei più riprovato. Dovetti farlo – lo confesso, malvolentieri -   nel 1988 (ventott’anni dopo!), affettuosamente “obbligato” da Umberto Belpedio, che premeva perché venissi contrattualizzato (così avvenne) dal Giornale di Napoli, col quale grazie a lui - capo della redazione di Salerno - già collaboravo, e sollecitato dall’indimenticabile Mimmo Castellano, vecchio e caro amico. Senza quella canagliata del 1960, forse avrei tentato – magari senza riuscirci, ma sarebbe stata colpa mia - la strada del professionismo.
© Sigismondo Nastri


lunedì 9 aprile 2018

LE ARANCE DI MARIETTELLA E LA MARMELLATA DELLA SIGNORA ANDREINA

Ricordo che ad Amalfi esistevano, insieme ai limoneti, degli splendidi aranceti.  Uno, lungo ‘o muro rutto, nella Valle dei Mulini. Quando ero bambino,  mio padre lo prese in fitto, per qualche tempo,  insieme alla casa, posta alla confluenza tra la salita Resinola e la via per S. Lorenzo, di proprietà di un certo Masto Ciccio. Poi quel giardino è scomparso, soffocato dal cemento.  C’erano parecchie piante d’arancio anche nella proprietà della famiglia De Riso, distrutte quando il terreno, fertilissimo, fu espropriato per costruirci un edificio scolastico: l’Istituto professionale per il commercio, dove io, per uno strano scherzo del destino, ho trascorso l’intera vita d’insegnante. Capitava che una tempesta di vento scutuliasse così forte le piante da far cadere a terra una grande quantità di arance. Mariettella (la signora De Riso, noi la chiamavamo così) ce ne regalava intere ceste. Per me, una vera manna. Ne mangiavo a bizzeffe. Ancora oggi la mia alimentazione non può prescindere, a metà mattinata, da una ricca dissetante spremuta  (anche se quelle vendute in negozio o al mercato, e provenienti non so da dove, e forse manipolate geneticamente, trattate con sostanze chimiche, non hanno il gusto e la fragranza di allora. Ma io cerco di acquistarle sempre fresche, con le foglie).
In Costiera non si producono più arance, dicevo, a parte rade piante che fanno capolino tra le pergole dei limoni. Bisogna oltrepassare il valico di Chiunzi e affacciarsi sul versante dell’Agro per ritrovarne coltivazioni più intense. Credo, ma manco sul posto da tantissimo tempo e non ne sono sicuro, che ce ne siano nel podere "Valle dei Mulini" di Gigino Aceto, che quando ero ragazzo chiamavamo 'O cuotto. Ho provato la marmellata prodotta da questa azienda tipica, insieme a  vari liquori che attengono al territorio, e la trovo eccellente.
I ragazzi di oggi sono schizzinosi: di fronte a una spremuta arricciano il naso, preferiscono bibite esotiche costruite in laboratorio. Peccato. Eppure, leggo,  gli agrumi (e se vale per le arance, vale ancor più per i nostri limoni, di cui neppure so fare a meno: meno male che ne ricevo  da Tramonti) sono ricchi di vitamina C, hanno azione antisettica, antinfiammatoria, protettiva nei confronti di cuore e arterie. Se sono arrivato, sostanzialmente sano, a ottantatré anni, lo devo anche alla grande quantità di limoni, arance, mandarini che ho inserito nella mia alimentazione. Lo faccio tuttora.
Ho qui la ricetta per una buona salutare e genuina marmellata. Me la diede, scritta di suo pugno, su carta intestata Hotel dei Cavalieri, la signora Andreina, moglie di Antonio De Luca.  La preparava per la famiglia ed era gradita dagli stessi dell’albergo.
Innanzitutto, gli ingredienti. Un chilo di arance, fresche, non trattate, lavate e asciugate. E ottocento grammi di zucchero.
Si mettono sul fuoco due pentole d’acqua e, appena bolle, si versano le arance nella prima pentola per 6/7 minuti.  Quindi, scolate, si passano nella seconda pentola per altri 5 minuti.
Si scolano di nuovo e si mettono a raffreddare, in acqua fredda. Quindi si tagliano a metà cercando - in un colino - di eliminarne i semi (se ne resta qualcuno non fa niente), senza schiacciarle troppo.  E, soprattutto, ponendo attenzione a raccogliere in una pentola il succo che  viene giù dal colino per mischiarlo allo zucchero.
Le arance, già divise a metà, vanno ulteriormente tagliate (in 4 o più pezzi), unite anch’esse allo zucchero e mescolate in modo che questo risulti un poco ammorbidito.  Dopo di che si mettono sul fuoco a fiamma bassa, per cinque minuti (dall’insorgere del bollore), mescolando spesso e fino in fondo. “Quando la scorza apparirà ben cotta – sottolineava la signora Andreina -, io le passo nel tritacarne con i fori grandi. Non bisogna impressionarsi se è un poco fluida: si indurisce raffreddandosi.” Quel che bisogna evitare è che attacchi sotto o si scurisca troppo.
Rimossa dal fuoco, la marmellata così ottenuta va invasata calda. I vasetti, chiusi ermeticamente, vanno lasciati a raffreddare, capovolti, su un canovaccio.  Una volta raffreddati, sarà necessario accertare se il sottovuoto s’è creato correttamente, premendo al centro del coperchio. I tappi di metallo (evitare il riutilizzo di quelli già usati) devono apparire leggermente incurvati verso l'interno e, premendoci sopra col dito, non si deve sentire clic clac.Se ciò avvenisse è perché  il sottovuoto non è andato a buon fine. Il prodotto ottenuto non è sicuro per la conservazione. Per sicurezza, consiglio di  affidarsi alla tradizionale bollitura dei barattoli, come si usa fare per i pelati o la salsa di pomodoro.    Saremo certi che il prodotto ottenuto potrà conservarsi a lungo.
Tutto questo vale anche per la marmellata di limoni, a parte il fatto che devono essere preventivamente privati della buccia. E che vanno bolliti interi una sola volta per 5 minuti, all’inizio del procedimento.
© Sigismondo Nastri (nuove ricette per 'A cannarizia)