giovedì 31 gennaio 2013

DAL 7 AL 17 FEBBRAIO MAIORI CELEBRA IL "SUO" CARNEVALE



Il carnevale di Maiori compie quarant’anni. Auguri! 
Il manifesto, che riproduco qui, annuncia dieci giorni di manifestazioni, dal 7 al 17 febbraio, all'insegna di una "passione senza tempo"
Se la campagna elettorale, condizionata dagli scandali più recenti, ci priva di un confronto serio e concreto sui problemi del paese, sui programmi di governo dei vari schieramenti (me ne rendo conto seguendo stucchevoli dibattiti alla tv)   “chiacchiere e tabacchere ‘e legno /  ‘o banco ‘e Napule nun ‘e ‘mpegne", si diceva una volta , meglio allora trovare rifugio in un po’ di baldoria e di sana allegria. “Dimane penzo a ‘e dièbbete, stasera so’ nu ré”, insegna una bella canzone napoletana.

Viva, dunque, il carnevale! E “carpe diem, quam minimum credula postero(Orazio, Odi): godiamoci il giorno che passa, perché – con questi chiari di luna – c’è poco da fidarsi in quello che ci aspetta dietro l’angolo.

LA CAMPAGNA ELETTORALE, GLI SCANDALI E LA VICENDA DEL MARATONETA DORANDO PIETRI



Marco Tullio Cicerone, che se ne intendeva, scrisse nel De republica: “Et vero in dissensione civili, cum boni plus quam multi valent, expendendos cives, non numerandos” (nei dissensi civili, quando i buoni valgono più dei molti, i cittadini si devono pesare e non contare). Accadeva così nell’antica Roma. In questa campagna elettorale, se lo potessi fare, peserei le idee, le proposte, i buoni propositi. E non mi ci vorrebbe neppure una stadera, come si usava ai miei tempi, o una di quelle bilance con grosse pedane, in uso in certi stabilimenti industriali. Mi basterebbe un bilancino da orafo o da farmacista, adatto a calcolare  grammi e milligrammi. Perché di idee in giro ce ne sono davvero poche. E sono tali da confondere  la povera gente, già alle prese con i  problemi della quotidiana sopravvivenza. Lo diceva pure Georg Christoph Lichtenberg: “Quanto meglio sarebbe se i voti si potessero pesare, anziché contare”.
La campagna elettorale si gioca, invece, sul filo delle emozioni, provocate, quando non dalle boutades - in questo i politici sono più bravi dei vari Crozza & C. -,  dagli  scandali. Cito gli ultimi in ordine di tempo:  rimborsi elettorali fasulli; intrecci tra politica e mondo della sanità privata; la sconvolgente vicenda del Monte dei Paschi. Aggiungo i venti milioni e passa di euro spesi per l’acquisto di un giocatore di calcio (non è scandalo anche questo?), alla faccia di quanti non riescono ad arrivare alla fine del mese con una pensione da fame.  E noi vogliamo che i nostri figli vadano a scuola, studino, si preparino bene? A che pro? Per rimanere esclusi dal cosiddetto mercato del lavoro o, nel migliore dei casi, essere sfruttati in un call center a recitare menzogne attraverso il telefono con lo scopo di carpire la buona fede della gente. Meglio far tanti soldi sapendo solo dar calci a un pallone. Chissà, fino al 24 febbraio, che altro verrà fuori. E’ vero, ce lo ricorda l’apostolo Matteo, che “necesse est enim ut venient scandala” (è necessario infatti che avvengano scandali), ma sarei cauto a gridare “vae homini illi, per quam scandalum venit” (guai a colui per causa del quale lo scandalo avviene). Se così fosse, quanti si salverebbero? Dalla giustizia terrena, intendo: non conosco il metro di giudizio di quella divina.
Sono fatti e circostanze dopanti della competizione, che rischiano di condizionarne pesantemente il risultato, alla faccia di coloro che si erano presentati al nastro di partenza col favore del pronostico. M’è piaciuto l’accostamento con la vicenda di Dorando Pietri fatto da Antonio Polito sul Corriere della sera di martedì scorso.  Il maratoneta italiano, alle olimpiadi londinesi del 1908, pur avendo primeggiato in gara per 40 chilometri, perse la medaglia d’oro perché cadde esanime a pochi metri dal traguardo.  Potrebbe capitare la stessa cosa, rendendo questo nostro paese ancora più ingovernabile.
Il bello delle elezioni, una volta, era che il risultato delle urne rappresentava sempre una sorpresa. Oggi, con i sondaggi, si sa tutto prima. E poiché, da qualche parte, affiora nostalgia per personaggi e regimi ripudiati dalla storia, vuoi vedere che a qualcuno verrà voglia di istituzionalizzare i sondaggi? Col pretesto, magari, di toglierci il fastidio di recarci ai seggi.

domenica 27 gennaio 2013

CITAZIONE DEL GIORNO

La cosa dannosa del fascismo è che induce gli imbecilli a credersi molto furbi. Quanto più uno è idiota tanto più il fascismo lo fa sentire orgoglioso di sé. 

Osvaldo Soriano


                                                                       


DON CLEMENTE CONFALONE, DALL'ORRORE DELLA GUERRA AL SACERDOZIO

Tra i personaggi meritevoli di ricordo, in questa "Giornata della memoria", non può mancare il nostro caro, indimenticabile don Clemente Confalone. Ripropongo l'articolo già pubblicato su "Cronache del Mezzogiorno" il 23 luglio 1996 e poi anche sul blog.

Nell’ottobre del 1943 Roma era in preda al caos. Vi dominava la paura. L’armistizio dell’8 settembre aveva determinato una situazione paradossale, trasformando in alleati i nemici di ieri, e viceversa, e segnando l’inizio di un conflitto tra italiani di opposte fazioni. L’ingegnere Pietro Lestini era vicepresidente dell’Associazione cattolica di San Gioacchino, nel quartiere Prati. Come ricorda la figlia Giuliana in un libro (S.A.S.G., edizioni Il Ventaglio), egli era impegnato nella lotta contro gli oppressori nazisti, ma soprattutto “nella testimonianza di solidarietà e altruismo di tutti i perseguitati a causa della razza, della religione, dell’idea politica e dell’amore per una patria libera e democratica”.  Con l’appoggio del parroco, padre Antonio Dressino, l’ingegnere Lestini aveva allestito un servizio di accoglienza per militari allo sbando, ebrei e perseguitati politici.  
Tra i primi accorsi ci fu il tenente di fanteria Clemente Confalone, “un uomo alto e magro, quasi ieratico, avvalorava mons  clemente confalonequesto suo aspetto la spiccata tendenza alla religiosità”. 
Profondamente buono, educato ai principi della fede e della fratellanza universale, egli s’era rifiutato di obbedire all’ordine di partire per Trieste. Aveva scelto la strada della diserzione, trovando riparo nella chiesa di san Gioacchino, àncora di salvezza per quanti volevano sfuggire alle retate nazifasciste. In questo contesto, un tipo come lui, che preferiva impugnare la corona del Rosario anziché la pistola, divenne ben presto bersaglio di lazzi e frizzi da parte degli altri rifugiati. “Pur tuttavia – rileva Giuliana Lestini – essendo d’animo mite riusciva a sopportare e in fondo a prestarsi fino al momento in cui di cattivo umore rispondeva con veemenza ed acredine. Era però riuscito a imporre la recita del Rosario e spesso li puniva coi suoi sermoni sulla bontà divina e la malvagità umana”.
Il rifugio ideato dall’ingegnere Lestini era “un locale esistente tra la volta e il tetto della chiesa stessa a ridosso della cupola, un locale quasi aereo tra le capriate del soffitto”. Fu quella che venne chiamata “Sezione aerea di san Gioacchino” (di qui la sigla S.A.S.G.), che, sotto il vincolo del giuramento e della segretezza delle azioni, si prefiggeva di occultare quanti fossero perseguitati e di compiere atti di sabotaggio contro i nemici nazifascisti. Si trattò di ore, giorni, mesi trascorsi in una situazione di precarietà assoluta. Murati addirittura, per motivi di sicurezza.
Il tenente Clemente Confalone, appartenente a una delle famiglie più in vista di Maiori, aveva trentacinque anni, essendo nato il 10 marzo 1908 (fra pochi mesi, quindi, ricorrerà il centenario; segnalo questa data ai Parroci e all’amministrazione comunale di Maiori perché si possa organizzare una cerimonia pubblica per ricordarlo). Con una laurea in giurisprudenza, conseguita brillantemente, era avviato a una carriera di avvocato o di magistrato, nel solco di una consolidata tradizione familiare. La terribile esperienza vissuta fece maturare in lui un’altra decisione: quella di diventare prete. Rientrato finalmente a casa, abbandonò i codici ed entrò in seminario. Furono sufficienti due anni di studio per l’ordinazione sacerdotale. Resta memorabile, in quanti lo hanno conosciuto, la sua profonda devozione alla Madonna, venerata come protettrice dai maioresi nella Collegiata Maioristorica Collegiata e festeggiata il 15 agosto col nome di S. Maria a Mare.
Don Clemente, che ha trascorso la vecchiaia – seduto in carrozzella, per le precarie condizioni fisiche – presso le Suore Domenicane di Maiori, amorevolmente assistito, ha chiuso gli occhi il 16 giugno del 1994, all’età di ottantasei anni. Di quella “soffitta” non aveva mai parlato con nessuno. Ma la sera del 9 marzo 1984, quando ricevette la visita di padre Ezio Marcelli, nuovo parroco di san Gioacchino, si lasciò travolgere dall’emozione e dai ricordi: “Il mangiare – riferì – saliva per mezzo di una carrucola. A far funzionare il congegno ci pensava l’ingegnere Lestini, con l’ausilio del sacrestano Domenico Pizzato, che si occupava anche di svuotare i secchioni utilizzati come gabinetto. Il cibo era fornito dalle Suore della Carità che, malgrado la carestia, non fecero mancare nulla del necessario”. Poi il racconto divenne più intenso: “Si passavano le ore discutendo del più e del meno, della vita passata, delle speranze per il futuro, del desiderio di uscire da quel luogo. A volta ci recapitavano i giornali. Lestini li faceva passare attraverso un foro nel soffitto all’interno della chiesa. Ci industriammo per portare la luce elettrica in modo da illuminare il nostro rifugio; e tanto facemmo che entrammo in possesso perfino di una radio per essere al corrente di ciò che avveniva fuori. La sera si recitava il Rosario, e vi prendevano parte anche gli ebrei”. Uno di questi, vedendolo “troppo devoto”, una volta, un po’ per burla e un po’ seriamente, gli aveva detto: “Quando ti farai prete diventerò cristiano”. Don Clemente non ha mai saputo se mantenne la promessa.
© Sigismondo Nastri

NELLA "GIORNATA DELLA MEMORIA", IL RICORDO DI GIOVANNI PALATUCCI, MORTO A DACHAU, E DI SABATO MARTELLI CASTALDI, TRUCIDATO ALLE FOSSE ARDEATINE

La "Giornata della memoria", che si celebra oggi, e la presentazione del libro di Mario Avagliano, "Il partigiano Montezemolo", in programma a Cava de' Tirreni sabato 2 febbraio, mi danno lo spunto per riproporre qui stralci di un mio articolo, pubblicato su "Cronache del Mezzogiorno" il 28 giugno 1996, ispirato dalla lunga conversazione che ebbi con il pittore Georges de Canino, esponente di spicco della comunità ebraica romana, ospite allora di Maiori, la cittadina della costiera della quale è cittadino onorario (come lo è, se non sbaglio, anche di Cetara, alla quale ha dedicato una raccolta di versi, "Il porto del cielo").

« I giovani ne sanno poco. La scuola non li aiuta a capire. Lo scorrere veloce del tempo contribuisce a sfumare i contorni degli avvenimenti. Ci son voluti il processo al capitano delle Ss Erich Priebke e la drammatica 'rivisitazione', in sede giudiziaria, degli aspetti più crudeli della triste vicenda per far tornare d'attualità l'eccidio nazista alle Fosse Ardeatine, avvenuto il 24 marzo 1944.

Georges de Canino, che incontro a Maiori in una calda mattina di fine giugno, è vice presidente dell'associazione nazionale 'Miriam Novitch'. "Nel nome di questa donna coraggiosa, alla quale i nazisti sterminarono 34 membri della famiglia - mi dice - intendiamo tenere vivi i valori della memoria storica dell'antifascismo e della resistenza. Vogliamo valorizzare anche il grande apporto che hanno dato tutte le forze sociali d'Italia alla liberazione. La nostra è un'opera di informazione e di educazione, rivolta soprattutto ai giovani. Senza odio, senza spirito di vendetta. Tuttavia, denunciamo fermamente quei silenzi, quelle connivenze che hanno portato al revisionismo storico, quasi ad accreditare in qualche maniera il fascismo e il nazismo". 
L'anno scorso, l'associazione sì è mossa per il conferimento della medaglia d'oro al valor civile alla memoria dell'ultimo questore di Fiume, Giovanni Palatucci.
[...]
Giovanni Palatucci era di Montella. Apparteneva a una famiglia profondamente religiosa, che ha dato alla Chiesa vari vescovi: ultimo, monsignor Ferdinando, che è stato per lungo tempo alla guida dell'arcidiocesi di Amalfi, stimato e benvoluto da tutti, per poi ritirarsi - compiuti i settantacinque anni - tra le sue montagne, in Irpinia.
Nella città istriana Giovanni Palatucci salvò oltre cinquemila ebrei e perseguitati. Arrestato, venne condannato a morte e deportato nel campo di sterminio di Dachau, dove si spense, per le sevizie subite, il 10 febbraio 1945.
[...]
La prigione di via Tasso, oggi Museo storico della liberazione di Roma, è ancora luogo di dolore. Vi si conservano documenti, cimeli, frammenti di storia. "I graffiti incisi sui muri, le firme o i messaggi tracciati in fretta sui parati strappati, i segni di riconoscimento, le finestre murate, le fitte grate sui miseri pertugi, l'oppressione di un'aria stantia che non riesce a circolare nemmeno oggi, nonostante le nuove aperture - rileva Arrigo Paladini, che visse la drammatica esperienza della segregazione, riuscendo però a sfuggire al massacro - sono tutte testimonianze autentiche e inequivocabili di una realtà concretamente sofferta, molto più eloquente di qualunque possibile celebrazione o di qualsiasi monumento".
A un muro della cella numero 2, al secondo piano, è ancora visibile la firma del generale dell'Aeronautica Sabato Martelli Castaldi, nato a Cava de' Tirreni. 
[...] 
Martelli Castaldi era, insieme al generale Roberto Lordi, responsabile della polveriera di Roma. Entrambi sostenevano i fronti della Resistenza militare clandestina, fornivano armi ed esplosivi ai partigiani di tutte le formazioni politiche. Erano, l'uno e l'altro, uomini di grande disisnteressata generosità. Aiutavano perseguitati e ebrei. Arrestati, trasferiti in via Tasso, subirono torture dai nazisti e dalle guardie carcerarie. Nella sua cella, il generale Martelli Castaldi, aiutandosi con un chiodo della scarpa, tracciò alla parete un calendario per conservare la consapevolezza del trascorrere del tempo. Nella stessa cella fu rinchiuso il professore Giuliano Vassalli, che incise la sua firma con le unghie, "perché - lo ha ricordato lui stesso - null'altro avevo".
Condannato a morte dal tribunale della Gestapo, insieme al suo amico e collega Lordi e a tanti altri eroi, il generale Martelli Castaldi venne fucilato il 24 marzo 1944 alle Fosse Ardeatine. Lì, come negli altri luoghi della Geografia del dolore - ha scritto Giuliano Vassalli - "il sangue italiano si unì al sangue d'Europa. Da esso le fonti della nostra rinascita nazionale dopo un triste passato". »
© Sigismondo Nastri