martedì 10 aprile 2018

QUELL'ANTICA CANAGLIATA NEI MIEI CONFRONTI DELL'ORDINE DEI GIORNALISTI

Quando si è avanti negli anni, e io lo sono, insorgono  problemi di memoria: nel senso che si sviluppano sostanziali modificazioni delle capacità mnestiche. In poche parole, ci si dimentica facilmente delle cose recenti, mentre ritornano alla mente episodi di un passato più o meno lontano. Figuriamoci se suffragati da documenti che vengono fuori dalle tante carte ammucchiate nei faldoni o  nei cassetti.
Ecco che mi ritrovo sottomano la lettera con la quale mi fu negata, anche in seconda istanza, l’iscrizione all’Ordine dei giornalisti nel 1960.
Racconto i fatti, partendo dall'anno precedente: estate o inizio autunno del 1959. Avevo presentato la domanda all’Odg della Campania, insieme a una cartella contenente – come è prassi - articoli firmati, siglati e non firmati (mai restituiti) e due certificati: quelli di Renato Angiolillo, direttore del Tempo, e di Nicola Sergio, direttore di Momento-sera, quotidiani autorevoli dei quali ero corrispondente da Amalfi.  Certificati che riguardavano anche i compensi percepiti. Una corposa documentazione, insomma,  già sottoposta, alcuni giorni prima, all’attenzione del presidente Adriano Falvo, in un incontro a Napoli mediato dal sindaco di Amalfi Francesco Amodio, deputato al Parlamento, del quale ero segretario. Ero tornato felice  per i complimenti ricevuti e l'assicurazione che non ci sarebbero stati problemi. A mio favore s’era prodigato pure Carlo Barbieri, direttore della Tribuna illustrata e presidente dell’Ordine dei giornalisti di Roma, che aveva preso a volermi bene, incoraggiandomi e stimolandomi, dopo che c’eravamo conosciuti nell’edicola di Andrea Savo ad Amalfi.
Stranamente, e non ho mai capito perché, la mia domanda fu respinta, come pure il ricorso, per "insufficienza di titoli", ma con la motivazione che le mie erano…  cronache locali.
Giurai che non ci avrei più riprovato. Dovetti farlo – lo confesso, malvolentieri -   nel 1988 (ventott’anni dopo!), affettuosamente “obbligato” da Umberto Belpedio, che premeva perché venissi contrattualizzato (così avvenne) dal Giornale di Napoli, col quale grazie a lui - capo della redazione di Salerno - già collaboravo, e sollecitato dall’indimenticabile Mimmo Castellano, vecchio e caro amico. Senza quella canagliata del 1960, forse avrei tentato – magari senza riuscirci, ma sarebbe stata colpa mia - la strada del professionismo.
© Sigismondo Nastri


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