sabato 1 gennaio 2022

PENSIERI NOTTURNI ALLA RINFUSA DEL PRIMO GIORNO DELL’ANNO, NEL SEGNO DELLA SPERANZA

Il pensiero del primo giorno dell’anno è riservato alla speranza, che sta, come in un sandwich, stretta tra due sentimenti contrastanti: l’ottimismo e il pessimismo.

L'allegria beneaugurante, manifestata il 1° gennaio dell’anno che abbiamo appena archiviato, è stata vanificata dagli eventi politici, economici, sociali che si sono succeduti fino a ieri. Complice, l'epidemia di covid. E persino da quelli atmosferici, che hanno interessato, con conseguenze gravi, anche la nostra Costiera. L'Italia corre il rischio di sprofondare in una crisi istituzionale se i partiti non trovano un'intesa per eleggere di qui a qualche mese un presidente della Repubblica super partes, capace di rappresentare l'unità nazionale senza condizionamenti.

Mentre si festeggia l'arrivo del nuovo anno, e dopo ricche libagioni, si dà fuoco alla santabarbara dei fuochi d'artificio (mi chiedo a che sono servite le ordinanze di divieto dei sindaci, completamente disattese), penso ai poveri, agli emarginati, a quei disgraziati che cercano scampo da carestia, guerre, violenza, e tentano di approdare sulla nostra riva del Mediterraneo. Penso ai giovani che non trovano sbocchi occupazionali, ai lavoratori "espulsi" dai luoghi di produzione perché molte aziende, che pure hanno beneficiato di incentivi da parte dello stato italiano, chiudono o si trasferiscono altrove. Penso alla scuola, ridotta a un'area di parcheggio, che non alimenta le menti e non forma le coscienze. Penso alla riforma in atto degli esami, da quelli di scuola media a quelli di maturità, e mi viene da rimpiangere Giovanni Gentile.

Penso agli aumenti sulle bollette di luce e gas, che decorrono da oggi e faranno da traino alla lievitazione del costo complessivo della vita: dai generi di prima necessità ai trasporti.

Ecco, perciò, il ricorso alla speranza che pure, a sentire Albert Camus, «al contrario di quanto si crede, equivale alla rassegnazione». E vivere, aggiunge lo scrittore francese, «non è rassegnarsi». Giusto. Anche un nostro proverbio – lo abbiamo spesso sentito ripetere dai genitori e dai nonni – ammonisce: «chi di speranza vive disperato muore».

Per Aristotele, la speranza è «un sogno fatto da svegli». Solo che i sogni sono fotosensibili, svaniscono alla luce del giorno.

Mentre mi tormento la mente con citazioni letterarie e pensieri per nulla rasserenanti, mi chiedo che senso abbia affidarsi alla speranza in una situazione così compromessa. La risposta la trovo in Georges Bernanos che scrive: «la speranza è una virtù, virtus, una determinazione eroica dell’anima. La più alta forma di speranza è la disperazione vinta». Faccio mia anche la frase di Cicerone: «Dum vita est, spes est», finché c’è vita c’è speranza. Che è – lo leggo in una riflessione dell’indimenticabile cardinale Carlo Maria Martini - «un fenomeno universale, che si trova ovunque c'è umanità, un fenomeno costituito da tre elementi: la tensione piena di attesa verso il futuro; la fiducia che tale futuro si realizzerà; la pazienza e la perseveranza nell'attenderlo». Credo che sia la definizione più appropriata.

E poiché, in fondo, come dicevano gli antichi romani, «homo quisque faber ipse fortunae suae» (ogni uomo è artefice della propria fortuna), non mi resta che fare affidamento in quella x appena percettibile, tracciata sulla scheda tra scetticismo, dubbio e diffidenza, nel segreto della cabina elettorale: considerato che di qui a breve, subito dopo la elezione del capo dello Stato, stando a quanto ci propinano quotidianamente i commentatori politici, forse toccherà a noi stessi – volenti o nolenti - diventare gli artefici del nostro avvenire, almeno di quello più immediato. Se la democrazia è il governo del popolo, si lasci che esso decida il proprio destino: liberamente, senza gli 'nciuci dei soliti noti che ammorbano il panorama politico nazionale.

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