lunedì 1 gennaio 2018

BUON ANNO 2018

Ormai ci siamo. Stanotte, allo scoccare dell'ora zero, s'è festeggiato il nuovo anno - com'era prevedibile - dando fuoco alla santa Barbara dei fuochi d'artificio: senza rispetto per il prossimo, specialmente quello sofferente, per l'ambiente, i monumenti, cose che non ci appartengono. Senza pietà per i poveri animali domestici che, si sa, non sopportano i botti.
Un altro anno… Uffà! come passa il tempo. Quasi ottantatreenne, mi viene subito da pensare (penso a me stesso) che «‘o tiempo passa e ‘a morte s’avvicina». Ma questo non mi procura affanno. “Estote parati”, ammonisce il Vangelo. Alla chiamata risponderò senza indugio: presente! Intanto, fin quando ce la faccio, continuo a portare avanti il mio impegno: che è quello di scrivere, tenendo vivo il contatto con gli amici su Facebook.
Come sarà il nuovo anno? Mi pongo la domanda a ogni vigilia di San Silvestro. La risposta è che non cambierà niente: i tartassati saranno sempre più tartassati (e non solo per l'aumento annunciato di luce e gas), i furbetti diventeranno più furbi, il cane continuerà “a muzzecà’ ‘o stracciato”, come c’insegna il proverbio.
Il mondo andrà avanti, in un clima di tensione, di guerra-non guerra, messo sotto scacco dalla insipienza del presidente americano, dalla endemica instabilità medio-orientale, dalla conclamata incapacità dell'Europa di avere un ruolo autorevole, credibile nello scacchiere internazionale, soprattutto dalla irresponsabilità di Kim Jong-un, il bambolotto nordcoreano.
Non si fermerà la migrazione di migliaia di disperati, spinti dalla illusione di recuperare nel nostro continente la dignità umana che nei loro paesi, tormentati da lotte tribali, fame, malnutrizione, malattie, gli è negata. Col rischio di finire, se non negli abissi del Mediterraneo, dalla padella nella brace. Abbandonati al loro destino ce li troveremo, nel migliore dei casi, a mendicare davanti a chiese e supermercati. Senza farci scrupolo a parlare di accoglienza, integrazione, anche dopo che il parlamento non ha avuto il coraggio di riconoscere il diritto di cittadinanza ai figli di stranieri nati in Italia. Che pure parlano la nostra lingua, frequentano le nostre scuole.
Il 4 marzo si voterà. Finalmente, verrebbe da esclamare. Anche se, da quel che si riesce a percepire, la governabilità sarà un traguardo difficile da raggiungere senza far ricorso ai soliti inciuci all’italiana.
Penso al dialogo del venditore d’almanacchi col passeggere, di Giacomo Leopardi.
«Venditore: Almanacchi, almanacchi nuovi; lunari nuovi. Bisognano, signore, almanacchi?
Passeggere: Almanacchi per l'anno nuovo?
Venditore: Si signore.
Passeggere: Credete che sarà felice quest'anno nuovo?
Venditore: Oh illustrissimo si, certo.
Passeggere: Come quest'anno passato?
Venditore: Più più assai.
Passeggere: Come quello di là?
Venditore: Più più, illustrissimo.»
Uno lo spera sempre, malgrado tutto. Sperare, almeno quello, è gratis.
Dio ci scansi da venditori d’almanacchi, biscazzieri, astrologi, maghi, indovini, chiromanti e fattucchieri (politici compresi). Se proprio vogliamo cautelarci, affidiamoci alla consolidata saggezza popolare. Armiamoci di cornetti (ne ho una discreta provvista), teniamo pronta la mano per toccare… ferro, evitiamo chi porta jella (tanto glielo si legge in viso). Ammesso che serva. Considerando, comunque, questi gesti alla stregua di un gioco, di un puro e semplice divertimento.
“Non è vero ma ci credo” è il titolo di una bella commedia di Peppino De Filippo, che ha come protagonista il commendator Gervasio Savastano, uomo perseguitato dalla superstizione. Nonostante gli scongiuri di rito, tutto sembra che vada contro di lui: i venerdì, i gatti neri e quello jettatore patentato del ragionier Malvurio, suo dipendente. Il povero Savastano, non sapendo più cosa fare, licenzia Malvurio e lo sostituisce con Sammaria, che, avendo la gobba, promette ogni bene e fortuna. Infatti basta guardarla e gli affari ripartono a gonfie vele. Fino a quando il diavolo, come si usa dire, non ci mette lo zampino. Lo ‘scartellato’ confessa al commendatore che s’è innamorato della figlia Rosina, provocandogli un incubo terribile: che i suoi nipotini possano nascere con la gobba.
A scanso di equivoci, dichiaro che non sono superstizioso. Ma non mi sento di dare torto a Goethe, per il quale «la superstizione è la poesia della vita».
Un’antica filastrocca napoletana, della quale mi sono appropriato, recita così: «Aglie, fravaglie, fattura ca nun quaglia! / Corna e bicorna, cap’ alice e capa d’aglio. / Uocchie, maluocchie e furtecielle all’uocchie: / schiatta la ‘mmìria e crepano ‘e maluocchie. / Sciò, sciò, ciuccevé! / Ascite uocchie sicche, ca j’ ve ne caccio c’ ‘o ‘ncienzo!».
E’ ovvio che in casa un po' di fumo d'incenso lo spargerò, allo scoccare del 2018 e, se qualcuno me ne chiederà il motivo, risponderò che è solo per... profumare gli ambienti.
Buon anno!
© Sigismondo Nastri

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