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domenica 5 marzo 2017

LUTTO NEL MONDO DELL'ARTE A SALERNO: CI HA LASCIATI ABLEO, CARMINE LIMATOLA


Scherzavo, poco fa, su Facebook, commentando una cosa carina scritta per me dal quotidiano online il Vescovado: «grazie - avevo detto - per il privilegio offertomi di poter leggere il mio "coccodrillo" in anticipo». Affettuosa, come sempre, la replica del direttore Emiliano Amato: “Non ti smentisci mai…”. Qualche giorno fa avevo pubblicato, sempre su Fb,  una riflessione sull’allegria, che – nota Walter Scott – deve essere un elemento caratterizzante della nostra esistenza dato che "la vita senza allegria è una lampada senza olio". Forse perché sono vecchio, è su questa filosofia che imposto la mia giornata. Nonostante qualche acciacco.
Poi, sfogliando Facebook, ecco che mi viene sotto gli occhi la notizia della morte di Ableo e, all’allegria, subentra una tristezza indicibile. Ableo, cioè Carmine Limatola, lo conoscevo da tantissimo tempo. Ricordo che l’indimenticabile Peppino De Luca,  comune amico, scherzava sul nome d’arte che lui s’era scelto: motivato – diceva – dal desiderio di essere in cima all'elenco, in ordine alfabetico, degli artisti presenti alle varie collettive. La battuta li faceva ridere di gusto. Probabilmente, in paradiso, avranno modo di riprendere il discorso e continuare a sfruculiarsi simpaticamente. 
Con Ableo se ne va un artista che ha onorato Salerno, facendosi conoscere e apprezzare oltre i confini nazionali.
Ne riporto qui, sia pure in modo scarno, le note biografiche, tratte dal suo sito internet. 
Nato a Salerno nel 1944. Studi all’Istituto d’Arte di Salerno. Nel 1968, partecipazione alla messa in scena ideata da Michelangelo Pistoletto nell’ambito della mostra “Arte povera+Azioni povere” tenutasi negli antichi Arsenali di Amalfi, curata da Germano Celant. Un evento che rimane un punto fermo nella storia dell’arte del nostro tempo. Sempre con Pistoletto aveva poi partecipato a The di Alice nella galleria Il Centro di Napoli. Nel 1969, personale alla Libreria Einaudi di Salerno. Poi, nel 1971, alla galleria Kuchels di Bochum e alla Galleria 2000 di Bologna. Nel 1977 e nel 1978, due mostre allestite al Laboratorio di Salerno. Nel 1979, personale Narciso allestita alla Galleria Pellegrino di Bologna; nel 1980 alla galleria lnsam di Vienna; nel 1991 alla Christopher John Gallery di Santa Monica in California; nel 1999, al Tecla Atelier des Territoires di Bruxelles, ove espose le grandi colonne di ceramica, ideate come omaggio a Brancusi, opere che nel 2000 furono presentate nella mostra allestita a Villa Rufolo di Ravello. 
Numerosissime le presenze a rassegne d’arte e collettive: da segnalare le Quadriennali di Roma del 1970 e del 1975, Pollution di Bologna nel 1971, nonché la XV Internazionale Malerwochen di Graz del 1980. Nel 1981, la rassegna Arte Italiana 60/80, allestita al Palazzo delle Esposizioni di Roma; nel 1977, Paesaggi interiori presso la Galleria Contemporanea di Bari e Trame del Disegno italiano contemporaneo, presso la galleria Dedalos di San Severo. Poi le grandi mostre personali: nel 2002, Specularità al Castello Fienga di Nocera Inferiore, costituita da grandi Vele (h. 4 metri) ed i simulacri di Minosse e Arianna; quindi, nell’antico complesso di S. Maria del Rifugio di Cava de’ Tirreni, la esposizione delle icone megadimensionali; nel 2004, Riordino delle cose stesse, promossa dal Comune e dalla Provincia di Salerno ed allestita nella chiesa della Santissima Annunziata di Salerno. E ancora: nel 2006, Bello&idea, al Complesso Monumentale di Santa Sofia in Salerno; e, nel 2010, Da Thanatos all’ideale, nel Parco Urbano ex Salid in Salerno.
Domani, lunedì 6 marzo, alle ore sedici, i funerali nella cattedrale di Salerno.

sabato 17 dicembre 2016

MARTEDI' 27 DICEMBRE, LA MATTINA A POSITANO E IL POMERIGGIO A SALERNO, SARA' PRESENTATO IL CALENDARIO D'ARTE DI DE LUCA INDUSTRIA GRAFICA E CARTARIA SpA, DEDICATO AL PITTORE GIOVANNI ZAGORUIKO

Martedì 27 dicembre, alle ore 10,30, nella Sala Consiliare “Salvatore Attanasio” del municipio di Positano, sarà presentato alla stampa e al pubblico il Calendario d’Arte De Luca 2017 dedicato al pittore ucraino Giovanni Zagoruiko (1896-1964).
Ne parleranno Massimo Bignardi, docente di storia dell’arte contemporanea nell’Università degli Studi di Siena, il curatore Marco Alfano, storico dell’arte, e Andrea De Luca della De Luca Industria Grafica e Cartaria SpA. Moderatore, il giornalista Sigismondo Nastri. Per i saluti istituzionali saranno presenti Michele De Lucia, sindaco di Positano, Giovanni Camelia del  Centro di Cultura e Storia Amalfitana, che ha patrocinato, con il Comune di Positano e la Camera di Commercio, l’iniziativa editoriale.
Sempre martedì 27 dicembre, alle ore 17,00, il Calendario De Luca sarà presentato a Salerno nel Salone “Genovesi” della Camera di Commercio, coi medesimi relatori e la partecipazione di Andrea Prete, presidente dell’Ente camerale.
Una tradizione consolidata quella avviata dalla importante azienda grafica e cartaria, entrata a far parte del costume del nostro Natale. Una tradizione che porta avanti la felice intuizione di Giuseppe De Luca (1934-2013) di realizzare un calendario promozionale dedicato ai maggiori artisti che, tra ottocento e novecento, hanno operato nel territorio salernitano. Basti citare Irene Kowaliska, Andrea D’Arienzo, Matteo Di Lieto, la Ceramica Ernestine, Manfredi Nicoletti, Biagio Mercadante, Pasquale Avallone.
Il Calendario illustra nei dodici mesi i vari periodi della carriera di Zagoruiko, tra i primi esuli a stabilirsi stabilmente sulla Costa d’Amalfi, già alla fine del secondo decennio del secolo scorso, centrando l’attenzione su opere conservate presso Enti (Comune di Positano, Camera di Commercio) o prestigiose collezioni private, riprodotte e analizzate storicamente negli “apparati”, sempre molto ricchi, sul retro di ogni pagina. Tra queste, si segnalano:  Venezia, 1926 (olio su cartone, cm 45,5x36,8), Foro romano. L’Arco di Settimo Severo, 1928 (olio su tela, cm 54x74), Positano sotto la neve, 1929 (olio su tela, cm 96x86); Chiesa di San Giacomo a Positano, 1929 (olio su cartone, cm 70,5x49); La Chiesa Nuova a Positano, 1933-35 (olio su tavola, cm 41x31) della Camera di Commercio di Salerno; Costantinopoli di notte, 1939 (olio su tavola, cm 64x50) e Veduta verso Praiano, 1956 (olio su tela, cm 142x144) appartenente alle collezioni del Comune di Positano.
G. Zagoruiko, Veduta con teiera, collez. privata

Ivan Pankratоvič Zagorujko, nato a Dnepropetrovsk nel 1896, si formò a Kiev (Ucraina), in contatto con il pittore bulgaro Boris Georgiev. Allo scoppio della Prima Guerra Mondiale lo troviamo arruolato nel reggimento scelto dei cosacchi e poi nell’Armata bianca. Nel 1920, in conseguenza delle drammatiche vicende della Rivoluzione d’ottobre, decise di emigrare: dopo vari spostamenti tra Turchia, Bulgaria e Grecia, a metà degli anni venti giunse in Italia. Soggiornò a Venezia (1926) e in Trentino (1927); si fermò a Roma, dove tenne la prima mostra personale alla Galleria Fiamma nel ’28. Nell’estate dello stesso anno fece un viaggio a Napoli, Pompei e a Positano, dove tornò per stabilirvisi definitivamente. Nel 1935 partecipò con quattro paesaggi alla I Mostra d’Arte di Positano. Nel 1931 fu invitato alla Mostra degli stranieri residenti in Italia, alla XX Biennale di Venezia, dove espose Autoritratto, Allegoria e Positano, raggi di sole. Nel ’37 espose due opere alla Prima Mostra del Sindacato Provinciale Fascista Belle Arti di Salerno. Negli anni Trenta e Quaranta frequentò gli esuli russi residenti a Positano, da Leonid Mjasin a Michail Semenov e Vasilij Nečitajlov; ospitò inoltre artisti amici come Alessio Issupoff, il maestro Boris Georgiev e il futurista David Burljuk. Nel 1941 corse il rischio di essere deportato in un campo d’internamento a causa delle leggi fasciste introdotte con la Seconda Guerra Mondiale, ma riuscì a salvarsi grazie all’aiuto dei positanesi. In particolare, del parroco don Saverio Cinque e del medico Vito Fiorentino. Fu comunque costretto a sottoscrivere un “verbale di diffida”, in cui accettava di attenersi alle disposizioni restrittive per gli stranieri, come quella di non dipingere all’aria aperta. Nel 1947 riprese l’attività espositiva con una personale alla Galleria Forti di Napoli e l’anno seguente alla Prima Annuale Nazionale d’Arte di Cava de’ Tirreni. Nel 1955 espose alla Galleria d’Arte del Palazzo delle Esposizioni a Roma e tenne una personale al Palazzetto Borghese, mostra riproposta nel 1958 al Palazzo di Città di Salerno. L’ultima personale è del 1963, alla Galleria d’Arte del Palazzo delle Esposizioni di Roma. Zagoruiko, benvoluto da tutti, chiamato affettuosamente “don” Giovanni, morì nell’ospedale di Salerno nell’autunno del 1964. E’ sepolto a Positano. Nel piccolo cimitero, che si affaccia da uno sperone di roccia sul mare, dirimpetto all'arcipelago dei Galli, sulla sua tomba è incisa una frase tratta da I fratelli Karamazov di Dostoevskij: “Come è bello il mondo di Dio”. 

venerdì 24 aprile 2015

LA "CAIOLA" SULLA TORRE DI VILLA RUFOLO A RAVELLO E LA TUTELA DEI BENI STORICO-ARTISTICI. DISCUTERNE E' LECITO, FORSE ANCHE NECESSARIO



Il restauro della Torre di Villa Rufolo, a Ravello, è sicuramente da salutare con favore. Tanto più che l’edificio duecentesco – come scrive il giornale online il Vescovado“è destinato ad ospitare, a partire dal prossimo anno, un museo a metà fra il reale ed il virtuale, che permetterà ai visitatori di vivere un viaggio nei luoghi, nella storia e nell'arte di Villa Rufolo, della Città della Musica e della Costiera Amalfitana”.

Desta perplessità la struttura in vetro installata sulla sommità, simile a quelle che delimitano le terrazze panoramiche dei grattacieli, per ovvie ragioni di sicurezza. Ma qui siamo in presenza di un monumento che risale al Medioevo, non di un edificio ultramoderno. 
Su questo s’è aperta una discussione su Facebook, alla quale anch’io ho partecipato con una battuta – che m’è venuta spontanea nel vedere la fotografia pubblicata dal Vescovado (ved. a fianco) -  paragonandola a una “caiola”, una voliera per uccelli. Ma s’è trattato di una battuta. Certo è che questa paratia trasparente, sorretta da paletti, non è bella a vedersi. Come è altrettanto certo che da lassù il visitatore potrà ammirare un panorama mozzafiato.

Tuttavia c'è da sottolineare un principio: lo spettacolo è una cosa, la salvaguardia del monumento, della memoria storica, è altra cosa. Altrimenti potremmo pure pensare di creare una “terrazza”, magari con bar e ristoranti, in cima al Colosseo o  nella Casa del Fauno a Pompei. Il problema è quello di conciliare i due aspetti della questione: la conservazione del monumento, nella sua integrità, e l'utilizzo, la fruizione.
Nel programmare e mettere in atto qualsiasi intervento, dovremmo sempre ricordarci – e dovrebbero ricordarselo gli addetti ai lavori, responsabili della politica dei Beni culturali (ministro Franceschini, se ci sei, batti un colpo!), tecnici e funzionari delle Soprintendenzeche gli occhi del mondo sono puntati su di noi, sulla nostra capacità di tutelare le memorie del passato. Noi, che forse non meritiamo tutto quel ben di Dio di patrimonio artistico-culturale che ci è stato trasmesso dagli antenati, se è vero - ved. le continue inchieste alla tv e sui giornali - che spesso lo teniamo nell'incuria più assoluta, quando non lo manomettiamo e maltrattiamo in modo scriteriato. E' chiaro che non mi riferisco necessariamente al caso specifico ma a una situazione diffusa sul territorio nazionale. Che non ci fa onore.

A chi, infastidito, tenta di far prevalere la propria opinione dico che discuterne civilmente, confrontare i punti di vista, non è un fatto negativo. E' segno di attenzione. Il mio modo di pensare s'ispira all’insegnamento di un critico d’arte inglese, Arthur Clive Heward Bell: “Cercherò di descrivere il grado della mia emozione estetica. Questo ritengo sia la funzione della critica”.
Sigismondo Nastri

martedì 24 marzo 2015

ADDIO A PAOLO SIGNORINO, PROTAGONISTA DELL'ARTE E DELLA CULTURA PER OLTRE MEZZO SECOLO A SALERNO

Nel cuore della notte mi arriva improvvisa, violenta come una sberla, la notizia che Paolo Signorino (classe '35, ottant'anni ancora da compiere, come me) se n'è andato poche ore fa. Una notizia che mi addolora profondamente. Sapevo da tempo che non stava bene, dopo l'intervento subito a Milano, che lo costringeva a periodici cicli di chemioterapia. Me lo aveva detto lui stesso. Ma sapevo pure - lo capivo dai nostri colloqui, ogni volta che capitava d'incontrarci (le nostre case sono a un tiro di schioppo, a Torrione) o di sentirci al telefono - del coraggio, della determinazione, che lo caratterizzavano, della voglia di andare avanti comunque, di continuare a lavorare con pennelli e tavolozza, e del dolore che provava quando le condizioni di salute gli impedivano di andare a Ravello, dove aveva posto il suo rifugio. La Costiera, con le sue bellezze, con i suoi fiori, la sua vegetazione, rappresentava per lui una fonte di ispirazione continua. Come gli stessi santi patroni, ai quali una volta dedicò un'intera mostra. Dagli anni sessanta, e quindi per oltre mezzo secolo, Paolo è stato tra i protagonisti più vivaci e più impegnati delle vicende artistiche e culturali di questo territorio.
Quando, tra il 28 dicembre 2006 e il 28 gennaio 2007, la Provincia organizzò una esposizione dei suoi dipinti a Palazzo sant'Agostino, affidata a Massimo Bignardi, lo storico dell'arte che più lo ha seguito nel suo percorso sulla scena pittorica salernitana, ebbi modo di fargli una lunga intervista, inserita nel catalogo.
Iniziai con una osservazione:  «La tua pittura sembra che sia proiettata da un lato verso il cielo, dall'altro verso la terra, visto che dividi equamente l'interesse tra i Santi Patroni della Costiera e un erbario pressoché completo». Rispose: «Io amo soprattutto dipingere il paesaggio che è, poi, il soggetto che ho studiato di più. Devi sapere che, non avendo frequentato una scuola di pittura, le tecniche me le sono ricavate da me studiando sui dipinti degli autori che mi piacevano, in particolare i Macchiaioli toscani. Da questi agli Impressionisti il passo è stato breve. Ho conseguito la licenza media quando era da poco finita la guerra e non mi è stato possibile spostarmi a Napoli per frequentare un istrituto d'arte. Mi sono esercitato dipingendo all'aperto. Anche le prime mostre che ho fatto erano dedicate al paesaggio: sia quella di Angri, nel 1967, sia quella al Catalogo, nel 1969, che aveva come tema il mare. Io ho sempre lavorato su un tema, pensando alla pittura essenzialmente come studio. Questo è avvenuto anche quando mi sono interessato a Proust e quando ho fatto la mostra dal titolo 'portami tante rose'».
Per ciò che riguarda la tensione religiosa, la sua ricerca - ci teneva a sottolinearlo - era indirizzata «non solo alla iconografia del santo, ma alla tradizione, al luogo dove il suo culto si è radicato». 
Quanto a Proust: «Ho cominciato a interessarmi all'opera di Proust dagli anni cinquanta-sessanta leggendo 'Dalla parte di Swann' e poi tutta la 'Recherche' che ha rappresentato per me una scoperta straordinaria. Proust ti coinvolge, perché si sofferma sui particolari: il modo di vestire di un personaggio (prima ancora di compiere su di lui un'indagine psicologica) oppure i colori di cieli, di case, di interni, di esterni. E questo mi ha affascinato tantissimo. Se tu guardi gli 'interni' degli inizi del mio lavoro, li trovi ricchi di particolari. Oltretutto a me piace dipingere partendo dal disegno. Ci sono pittori che ne fanno a meno per avere una pennellata veloce. Io, senza una struttura del disegno, è difficile che riesca a concepire il quadro. Amo una pittura che sia, insieme, narrazione. Quando feci la mostra a Salerno, nel 1985, Michele Prisco la definì "il racconto di una città"». 
Domenico Rea, in occasione di una esposizione a Roma, nel 1970, scriveva:  «Il problema di Signorino è di rendere, di restituire, di fermare, di far collezione degli ultimi dati di un mondo felice e fanciullesco, che presiede la sua memoria in cerca di motivazioni». E Luciano Vecchi, nel 1995, aggiungeva: «Nella pittura di Paolo Signorino la memoria sembra una musa sempre presente». Lo è stata fino all'ultimo dei suoi giorni.
Addio, vecchio, caro, indimenticabile Maestro!

venerdì 26 settembre 2014

ITALO BRESSAN E MARCO PELLIZZOLA PROPONGONO A FERRARA, IN UNA MOSTRA CURATA DA ADA PATRIZIA FIORILLO, UN "VIAGGIO NELL'OMBRA, NEI MARGINI DELLA PITTURA"



Giovedì 2 ottobre alle ore 17.00, a Ferrara (palazzo Turchi di Bagno), sarà inaugurata la mostra Italo Bressan Marco Pellizzola. Viaggio nell’ombra, nei margini della pittura, promossa dal Dipartimento di Studi umanistici dell’Ateneo ferrarese e curata da Ada Patrizia Fiorillo (cattedra di Storia dell’arte contemporanea, Ferrara) con il coordinamento di Ursula Thun Hohenstein (presidente SMA).  Inserita nel programma degli eventi predisposto dall’Università di Ferrara per il Festival di Internazionale, essa si avvale inoltre del sostegno del Museo ARCOS di Benevento, del Museo-Fondo Regionale d’Arte Contemporanea di Baronissi in collaborazione con il Dipartimento di Scienze storiche e dei beni culturali dell’Università di Siena, la Galerie KOMA di Mons, la Galleria Goethe di Bolzano.

Con le esperienze di Bressan e Pellizzola – due artisti italiani entrambi docenti presso l’Accademia di Belle Arti di Brera e dagli anni ottanta sulla scena espositiva nazionale ed internazionale –, l'esposizione,  che raccoglie dipinti e installazioni nonché una scelta di disegni e di acquerelli, suggerisce una riflessione sulla pratica della pittura oggi, riscoprendo il valore che l’ombra assume quale prima traccia immaginativa di un percorso che spinge lo sguardo ad indagare nelle prospettive della realtà, catturando di essa la parte nascosta, quella fragile presenza sulla quale imbastire il dialogo di una ricercata identità. L’ombra è anche artificio della percezione, che trasforma l’oggetto nella sua metafora, come attestano le sperimentazioni delle avanguardie: le esperienze di Man Ray, di Schad o di Brancusi testimoniano, suggerisce Ada Patrizia Fiorillo, «di uno sguardo duplice che si muove tra superficie e spazio, tra pittura e scultura, rivelando in quei profili di luce e di forma, un’immagine nuova, qualcosa di meravigliante e di avvolgente, simile alla realtà o essa stessa realtà».

Ricostruendo il profilo storico-critico dei due artisti è Annamaria Restieri a rilevare che Italo Bressan mette in pratica una pittura,  «in cui l’ombra non agisce solo per oscurare ma per intensificare la profondità dei piani, trasformare ogni apparenza e generare nuove visioni, in un reciproco e lento cercarsi, accostarsi con la luce e il colore. Mentre si impone lo stretto connubio fra ombra e anima, l’artista attende che dal buio flussi d’ombra si combinino alla luce originando accesi cromatismi che, al di là della tela, aspettavano già di essere evocati in superficie.» Mentre per l’esercizio pittorico di Marco Pellizzola è Federica Pace a ricordare che esso «compie un viaggio all’interno dell’enigma dell’immagine ponendoci davanti una sorta d’impronta che è, al tempo stesso, segno dell’ esistere e dello  scomparire, vale a dire concretezza dell’oscurità ed evanescenza. Riesce a far da tramite con il mondo corporeo e quello incorporeo. Se provassimo a tracciare una storia dell’ombra nella cultura occidentale, attraverso questo opere, ci accorgeremmo che dominano di gran lunga le valenze negative. Presso le culture arcaiche è proiezione temibile del corpo umano, nell’immaginario classico e cristiano è simulacro dei morti, per Marco Pellizzola tuttavia l’universo umbratile rappresenta un inizio, un non-dove nel quale ricercare l’origine della propria esperienza.»



Accompagna la mostra il volume, curato da Massimo Bignardi per i tipi di Gutenberg Edizioni, dal titolo Viaggio nell’ombra. Italo Bressan e Marco Pellizzola nei margini della pittura, con contributi di Ada Patrizia Fiorillo, Giovanni Iovane, Valeria Tassinari, Annamaria Restieri, Federica Pace, Ico Gasparri, Linda Gezzi, Pasquale  De Cristofaro, Marco Gazzano, Mimmo Jodice  intervistato da Pasquale Ruocco. In chiusura, un’ampia antologia di brani dedicati all’ombra.


La mostra resterà aperta fino al 4 novembre, con i seguenti orari:

venerdì 3 ottobre 9,00 >19,00

sabato 4  e domenica 5 ottobre 10,00>18,30


a seguire


lunedi/giovedì 9,00>18,00 / venerdì 9,00>16,30.

sabato 20 settembre 2014

RAITO, LA MOSTRA "METAMORFOSI DEL SEGNO", A VILLA GUARIGLIA, RIPERCORRE IL VIAGGIO DEGLI ARTISTI STRANIERI IN COSTIERA AMALFITANA



Più che segnalare l'evento, desidero rivolgere un caloroso invito a visitare la interessante e accattivante mostra “Metamorfosi del segno” nelle sale di villa Guariglia, a Raito di Vietri sul Mare. C'è tempo fino al 19 ottobre prossimo. Bisognerebbe farla vedere anche agli alunni delle scuole.
Un momento della presentazione della mostra. Da sinistra: il curatore Massimo Bignardi;
Antonella Raimondi, vice sindaco di Vietri sul mare;  Eva Willburger; Barbara Cussino, dirigente il settore Musei e Biblioteche della Provincia; Pietro Amos.
Al microfono, Antonia Willburger
Una rassegna, ricca e complessa,  allestita  da Massimo Bignardi in modo razionale - pur nelle difficoltà che la sede, peraltro prestigiosa, evidenzia -, dedicata a Peter Willburger. Essa ripercorre, attraverso le opere,  il viaggio degli artisti stranieri in Costiera – da Vietri sul Mare a Positano – dagli albori del novecento all’inizio del terzo millennio. Ci sono un po’ tutti: Max Pechstein, Gunther Stüdeman, Maurits Cornelis Escher, Gregory Oscheroff, Ivan Zagaruiko, Karli Sohn Reithel, Richard Dölker, Kurt Craemer, Lisa Krugell, Irene Kowaliska, Margarete Thewalt Hannasch, Vassilij Necitailov, Han Harloff, Bruno Marquardt,  Ibrahim Kodra, Peter Ruta, Amerigo Tot, Oskar Kokoschka, Ed Wittstein, Eduardo Arroyo, Peter Willburger, Simon Fletcher. Le opere provengono da raccolte pubbliche e, principalmente, da collezioni private, a testimonianza che sul territorio, in particolare nel mondo imprenditoriale,  esistono competenza, sensibilità, amore per ciò che è bello.
"Metamorfosi del segno" di Peter Willburger
E' una mostra che merita attenzione, perché è in grado di suscitare  emozione profonda. Anche commozione, quando si è di fronte al tavolo da lavoro, qui ricostruito, di Willburger, il grande incisore austriaco, scomparso nel 1998. Egli giunse a Raito nel  1958, attratto dalla cultura mediterranea,  se ne innamorò, fino a stabilirvisi qualche tempo dopo con la famiglia: la moglie Eva, la figlia Antonia, devote custodi della sua memoria, del suo patrimonio di arte, cultura, esempio di vita.
Bello, preciso, esauriente il catalogo, a cura di Bignardi, autore di un saggio pregevolissimo, documentato, appassionante. Un catalogo che si apre con i saluti di Francesco Benincasa e Giovanni De Simone, rispettivamente sindaco e assessore alla cultura di Vietri sul Mare; Antonio Iannone, presidente della Provincia; Barbara Cussino, responsabile del settore Musei e Biblioteche della Provincia. E una nota di Antonia Willburger, che a Villa Guariglia, da diciassette anni, organizza con successo i “concerti d’estate”.  Senza dimenticare la testimonianza di Pietro Amos, artista eclettic nella ceramica, col supporto di alcune mattonelle sulle quali ci sono foglie che si trasformano in pesci.
o, grafico di grande estro e professionalità, che ricostruisce, in modo affettuoso, la incursione di Peter Willburger – eccezionali i risultati! -
In appendice, un estratto di lettere, racconti, diari di “viandanti” sulla Costa. E che viandanti: Paul Klee, André Gide, Edward Morgan Forster, Fortunato Depero, David Herbert Lawrence, Léonid Massine, Walter Benjamin, Sigfried Kracaurer, Ernst Bloch, Richard Dölker, Giuseppe Ungaretti, Irene Kowaliska, Simone de Beauvoir, John Steinbeck, Stefan Andres, Maurits Cornelis Escher, Giuseppe Prezzolini, Wilhelm Kempff, Natalie de Saint Phalle e lo stesso Willburger.