mercoledì 12 aprile 2017

LA PASTIERA, SIMBOLO DELLA PASQUA

La pastiera, dal profumo inebriante di cedro e fiori d’arancio, rigorosamente di fattura domestica, con quel tocco personale che la distingue dalle altre, è sicuramente il simbolo della Pasqua. In chiave gastronomica, intendo dire.  Sono convinto che, se ne mettiamo cinquanta in fila su un tavolo, all’assaggio non ne troviamo due uguali. Le differenze non sono tanto negli ingredienti quanto nel loro dosaggio. C’è chi la vuole intensamente profumata, chi con più o meno canditi, e così via. A parte le difficoltà che s’incontrano nella cottura in forno, che dev'essere accurata per evitare che ne esca cruda o troppo secca. Scrive Achille Talarico che la pastiera «è uno dei dolci più difficili da preparare». E aggiunge: «chi non conosce qualcuna delle innumerevoli porcherie che vengono offerte, durante le feste pasquali, sotto il nome lusinghiero di pastiera, al povero ospite che ci capita?»
Io, che non sono un gastronomo di professione, mi guardo bene dal condividere una tale affermazione. Mi limito a dire che una pastiera acquistata in pasticceria a Napoli è diversa da quella che si trova a Salerno e ancor più da quelle prodotte a Maiori, Minori, Amalfi. Sulle differenze non metto lingua. Il mio motto rimane sempre lo stesso: De gustibus non est disputandum. Ricordo solo che, quando ero ragazzo, mio padre prediligeva quella della Pasticceria Savoia. Io, per consolidata esperienza, considero una signora pastiera quella della Pasticceria Trieste di Maiori, prodotta artigianalmente nel pieno rispetto della tradizione.
Le mie considerazioni, dicevo all’inizio, vogliono riferirsi unicamente alle pastiere di fattura domestica. Una volta, quando il grano lo si comprava crudo per cuocerlo poi a casa, capitava spesso che, nel mangiarne una fetta, potevi trovarvi – come nota Talarico – acini duri a prova di dentiere. Oggi non avviene perché lo si acquista in barattolo, precotto. E lo si fa ulteriormente cuocere nel latte. Quanto alla ricetta, è addirittura stampata sull’etichetta: una buona base di lavoro, a mio avviso, sulla quale operare. A cominciare dalla pasta frolla  ̶  la si faceva con la sugna, ora col burro  ̶ , che sarà stesa fino a rivestire tutto l’interno di un ruoto per coprirlo, alla fine, con le rituali listarelle incrociate a mo’ di rombi. La farcitura è un impasto fluido, omogeneo, composto dal grano, dalla ricotta setacciata, da tante uova, pezzetti di cedro e arancia canditi, zucchero, cannella, vaniglia, acqua di fior d’arancio. Non ho citato, tra gli ingredienti, la crema pasticciera, introdotta non so quando e da chi. Certamente con l’intento di rendere la pastiera più morbida al palato. Per quanto mi riguarda, la ritengo una profanazione.
© Sigismondo Nastri (da: Cucina paesana della Costa d’Amalfi)

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