martedì 16 maggio 2017

MONS. ERCOLANO MARINI, PASTORE, PADRE E MAESTRO. ALL'INDIMENTICABILE PRESULE, IL 17 GIUGNO, MATELICA INTITOLERA' LA PIAZZA ANTISTANTE LA CHIESA DEL CROCIFISSO

Il 17 giugno - scrive L'Azione, settimanale della diocesi di Fabriano-Matelica - ci sarà una grande giornata, a Matelica, dedicata a Mons. Ercolano Marini. All'indimenticato presule, che fu per trent'anni - dal 1915 al 1945 - arcivescovo di Amalfi, sarà intitolata la piazza antistante la Chiesa del Ss. Crocifisso. 
La Chiesa amalfitana, rinunciando alla possibilità di avviare la causa di beatificazione di Mons. Marini (attesa da tante persone, che a lui indirizzavano le loro preghiere - ricordo di aver visto una volta un'immaginetta al capezzale di un infermo, in ospedale -, e da me più volte invocata), ha perso un'occasione storica.
Su Mons. Marini ripropongo qui il mio saggio, già pubblicato su questo blog il 2.6.2007.

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Nella cattedrale di Sant’Andrea, in cima alla scala che conduce alla cripta, riposano le spoglie di mons. Ercolano Marini, che fu arcivescovo di Amalfi dal 1915 al 1945. I fedeli – quelli più anziani, che ebbero la fortuna di conoscerlo - si fermano dinanzi alla tomba, sovrastata da un Crocifisso, e si raccolgono in preghiera. I buoni, i santi non si possono dimenticare.
Monsignor Marini morì a Roma, nell’Istituto della Fraternità Sacerdotale, dove si era ritirato, il 16 novembre del 1950. La mattina del 19, domenica, la salma fu trasportata ad Amalfi, accompagnata dai nipoti Pietro e Remo Marini. Scortata da Carabinieri in motocicletta, giunse in città alle quattro del pomeriggio, “accolta trionfalmente, da due ali di popolo” [1].
Era nato a Matelica (Macerata) il 21 novembre 1866. Queste le tappe fondamentali del suo percorso di vita e di apostolato: studi nel seminario di Fabriano; ordinato sacerdote il 21 settembre 1899; laureato in teologia a Bologna; parroco di Tonicoli dal 27 marzo 1892; canonico della cattedrale di Matelica dal 19 agosto 1894;  priore della cattedrale di Terni dal 7 settembre 1899; vicario generale del vescovo di Spoleto dal 13 gennaio 1901; eletto vescovo titolare di Archelaide in Palestina il 29 giugno 1904; consacrato il 31 luglio successivo; trasferito a Norcia l’11 dicembre 1905. Promosso arcivescovo di Amalfi il 2 giugno 1915, vi rimase fino al 3 ottobre 1945.
Ad Amalfi giunse in un momento difficile, in piena guerra mondiale,  accompagnato dalla fama di brillante oratore e di elegante scrittore che aveva “dato alle stampe più che venti lettere pastorali, testimoni della profonda pietà sua non meno che della sua elevata coltura teologica e letteraria, mentre a Roma e Genova ed altre città della Liguria e del Veneto ne ricordano i suoi discorsi” [2]. A Norcia si era impegnato per veder ultimata, prima di lasciare quella diocesi, “la sistemazione e l’abbellimento della cripta di S. Benedetto, ove questi e la sorella S. Scolastica videro la luce nello stesso giorno e nella stessa ora” [3].
Dopo un trentennio di guida dell’arcidiocesi amalfitana, chiese a Pio XII, che lo aveva ricevuto in udienza,  di volerlo dispensare da quell’incarico gravoso in quanto, dopo tanti anni di governo delle anime, sentiva “il bisogno di solitudine e di silenzio”. Fu, il suo, un gesto anticipatore della norma introdotta da Paolo VI, che impone ai vescovi di dare le dimissioni al compimento del settantacinquesimo anno di età.
Nel commosso discorso di addio, il 30 settembre 1945, in una cattedrale gremita di popolo, tracciò il consuntivo della sua attività: “Abbracciando in una visione di volo la vita pastorale svoltasi nel lungo periodo, mi riappare in soavità rinnovata la vostra adesione alle mie iniziative e il vostro affetto devoto, che è culminato nella celebrazione solenne dei miei giubilei e del quarantesimo del mio episcopato. Ma, insieme con l’affermazione del vostro filiale attaccamento, così generale e costante, non potevano mancare e non sono mancate ansie, incomprensioni ed amarezze, in cui, logorandosi, la mia vita si è venuta consumando come sopra un altare: ad immolandum Domino veni! Sotto l’azione di forze che crocifiggono, la grazia divina mi ha spinto ad effondermi per il bene di tutti e dei singoli. È stato, quindi, giocondo per me il dispensare quanto ho avuto di risorse economiche e lo spogliarmi degli stessi oggetti preziosi, che avevano anche il valore di memorandi ricordi. E adesso nella gioia della povertà avvolgo l’umile sacrificio di me stesso, che offro al Padre celeste per il bene comune: ad immolandum Domino veni! Il sacrificio non è stato infecondo. Lo splendore assunto dalla sacra Liturgia, il rinnovamento di tanti sacri edifici, la fondazione e lo sviluppo dell’Orfanotrofio maschile e di altre Istituzioni di educazione cristiana, l’affermazione del culto della SS. Trinità con il suo Santuario in Amalfi, queste ed altre opere di carità cristiana, che oggi esistono e ieri non esistevano, hanno assunto forma e vigore dal Sacrificio di Cristo, a cui ho cercato di ispirare il mio ministero e la mia vita: ad immolandum Domino veni!”.
 La lunga permanenza ad Amalfi fu caratterizzata dai due conflitti mondiali, da gravi calamità naturali, che fecero emergere tutta la sua sensibilità, tesa “a cogliere le fasi più significative della tormentata e aspra esistenza del popolo sottoposto alla giurisdizione dell’alto officio di lui” [4]. Il 31 luglio 1919 vi inaugurò, in un edificio donatogli dalla famiglia Torre,  l’orfanotrofio, che volle dotare di una scuola di formazione professionale per ebanisti e meccanici.  Un’opera realizzata con coraggio e fede nella Provvidenza divina, “senza mezzi, senza poteri, senza validi aiuti”, che poté accogliere orfani di guerra, poi altri fanciulli e ragazzi “privi della carezza paterna o materna”.
La creazione di un orfanotrofio, “mentre la guerra aveva compiuto il suo ciclo di odio e di sangue - rilevò Matteo Incagliati, un giornalista che conosceva bene la realtà locale -, parve all’arcivescovo mons. Ercolano Marini una necessità sociale, una ispirazione del ministero divino cui l’illustre prelato confida con austera virtù e con fervida anima le sue idealità. E gli orfani di guerra della città di Amalfi furono così tratti dalla via, e raccolti in un asilo, dove signoreggia lo spirito della solidarietà umana, non la pietà, non la carità. Perché l’arcivescovo Marini con la parola e con le consuetudini del suo ministero è riuscito a far sentire come il precetto di Gesù per i fanciulli abbia tale e tanta forza di suggestione da sollevare i diritti dell’amore in un’alta sublime sfera” [5]
Mons. Ercolano Marini
Alla conclusione della guerra 1915-18, nella lettera pastorale dal titolo “Dopo la vittoria”, affrontò il problema della dignità femminile in termini molto forti. Era rimasto colpito da un album di fotografie ad uso dei turisti che ritraeva “donne portanti al collo lunghi barili e una verga in mano e sotto la scritta: “Costumi di Amalfi””. “O cari – invocò -, per il comune decoro, strappate quella pagina, che ci condanna e ci infama, mostrando ai più lontani ammiratori delle nostre naturali bellezze quanto ancora siamo indietro nelle vie luminose della civiltà”.  E aggiunse: “Pare che una condanna pesi ancora sulle donne dei nostri villaggi. Curve sotto inverosimili pesi, esse discendono alla valle per innumere multiformi scale sconnesse, per sentieri rocciosi, levigati dai quotidiani sudori di doglia, correndo per conservare l’equilibrio, e spesso cantando, quasi a mostrare che nello schiacciamento del corpo essere conservano l’anima libera a elevarsi a nobili sensi e a delicati pensieri. Ma vederle in quell’atteggiamento di spasimo, sentire il fiotto concomitante gli sbalzi della loro cadenzata discesa, commuove e genera la brama, che sorga un braccio a redimerle. Sono povere vecchiette, a cui il bianco crine non dà ancora il diritto di un pane tranquillo e di un onesto riposo; sono giovani madri, che i poppanti bambini per lunghe ore invano cercano con i sorrisi e con lacrimosi vagiti e non riànno se non defaticate e oppresse; sono soavi e innocenti fanciulle, condannate a camminare col capo verso terra, mentre dovrebbero tenerlo alto per raccogliere gli effluvi degli alberi e i baci del sole. Ignare delle conseguenze funeste, esse inconsapevolmente minano la propria esistenza. Al loro pesante lavoro deve ascriversi l’anemia così diffusa, la frequente tubercolosi, il tumore deformante, la precoce vecchiaia. Sminuite e schiacciate, non possono poi dare che una generazione debole e immiserita. Tessete la dogliosa statistica dei rachitici, degli storpi, dei mentecatti e, senza timore di errare, assegnatene la più grande parte di responsabilità al deprimente sistema, per cui la donna deve surrogare ancora la bestia da soma, dopo venti secoli di civiltà cristiana”.
 Il 26 marzo 1924 un violento nubifragio si abbatté sul versante occidentale della Costiera amalfitana, seminando lutti e rovine. Quella grave calamità ispirò la sedicesima lettera pastorale, nella quale l’arcivescovo invitò a non ritenere il disastro “un castigo. Questo concetto può perdonarsi a persone ignare del Vangelo; non a noi che ne meditiamo tanto spesso le pagine sante”. Il disastro, sosteneva mons. Marini, “è destinato ad irradiare i misteri della vita e a mettere a nudo la nostra insufficienza superba. Noi andiamo orgogliosi delle conquiste dell’ingegno umano, che è giunto a domare le cieche forze della natura e ad incanalare le sue poderose energie.  Incagliati, famoso giornalista, che abitualmente trascorreva ad Amalfi i suoi momenti di riposo, commentò: “Questo prelato ha una mente nutrita di forti studi e un’anima non insensibile alle ansie e alle speranze del popolo. La sua missione non si esercita, non si esaurisce nell’ambito della gloriosa cattedrale, ma va oltre l’altare, oltre il suo trono; e il suo spirito vaga per le vie, come a sollevare miserie, come a rinnovare pace alla gente affaticata e pensosa. È la sua un’opera che ricorda quella dei santi uomini della fede cristiana; poiché la Chiesa, auspice mons. Marini, non è più la reggia degli eletti, ma la reggia di tutti, nel nome di Dio” [6].
L’episcopato di mons. Marini fu interamente consacrato al ministero della parola ed alla generosa dedizione alla causa dei più bisognosi. L’arcivescovo dava “tutto il suo e quanto gli passava per le mani”, riferì don Antonio Turri, un religioso guanelliano che per cinque anni (1940-45) diresse il “suo” orfanotrofio. Lo confermano, del resto, due episodi, raccontati dallo stesso don Turri a mo’ d’esempio:  “Il popolo, dopo lo sbarco del settembre 1943, era come non mai non solo smarrito moralmente ma anche fisicamente provato e debilitato. Quanta pena facevano fanciulli e bambini scheletriti e affamati! Un giorno si trovò tra le “vecchie” cose della Cattedrale una preziosa croce pettorale (della sua se ne era già privato, conservandone una di semplice ottone!): avrebbe voluto alienarla per distribuire il ricavato alla povera gente, ma non vi riuscì. In un’altra occasione, poco prima di lasciare la Diocesi (settembre 1945) per la Badia di Finalpia, mi chiamò, mi mostrò alcuni pezzi di posateria d’argento, pregandomi di recarmi a Salerno per venderli. Ricordo che dovetti faticare tutta una giornata per non “svendere”. Trovai finalmente una brava persona che, capito di che si trattava, acquistò i pezzi di argento, consegnandomi, oltre al prezzo pattuito, anche una generosa offerta. Tornato ad Amalfi, consegnai il danaro all’Arcivescovo; il giorno seguente mi richiamò e mi diede un elenco di famiglie da soccorrere e la relativa somma da lasciare ad ognuna. “Ora non ho più nulla – mi disse – lascio la Diocesi povero, per vivere i miei ultimi anni, come ho sempre desiderato di vivere, povero come Gesù” [7]. E così, nel testamento spirituale, poté annotare: “Nulla possiedo; né stabili, né oggetti preziosi, né titoli di Stato, né moneta contante. Come sono grato al Signore dello stato di povertà, in cui lascio la terra!”.
Scorrendo i titoli dei libri di mons. Marini emerge che tutta la sua attività pastorale fu incentrata sul mistero del Dio Uno e Trino: Gli Splendori del Credo; La SS. Trinità nei Sacramenti della Chiesa; La SS. Trinità e la vita cristiana; La SS. Trinità e la morte cristiana; La SS. Trinità e il tempio cristiano; “Candida Rosa”. La SS. Trinità in Maria SS.ma, negli Angeli e nei Santi; S. Giuseppe nelle irradiazioni della SS. Trinità; Dal culto dell’Eucaristia al culto della SS. Trinità; Gloria Tibi, Trinitas.
Altre opere: Il Prof. Giuseppe Moscati; Profili biografici del Ven. Nunzio Sulprizio; Vita della Serva di Dio Filomena Giovanna Genovese; Facciamoci Santi; S. Adriano Martire, La Terra Santa; Nel corso degli avvenimenti.
La ricca e documentata biografia del professore Giuseppe Moscati, scritta per venire incontro al desiderio espressogli dalla sorella del “medico santo”, Anna, e dal  gesuita Padre Giovanni Aromatisi [8], fu pubblicata (fuori commercio) nel 1929, appena due anni dopo la morte dell’illustre clinico napoletano. Essa si chiudeva con l’interrogativo: “Che ne sarà del Moscati?…” a cui seguiva questa considerazione: “Io non sono in grado di sollevare il velo in cui è avvolto l’avvenire… Io amo vedere l’anima del prof. Moscati che con gli eletti scioglie il canto ineffabile a cui unisco l’umile canto dell’anima mia” [9].  Tra coloro che lessero il libro vi fu Mons. Angelo Giuseppe Roncalli, allora visitatore apostolico in Bulgaria. Congratulandosi con l’autore per aver voluto presentare a tutta la Chiesa la mirabile figura del prof. Moscati, “laico perfetto, splendido fiore di santità e di scienza”, il futuro Papa Giovanni XXIIII, in data 3 novembre 1929, aggiungeva: “Non mi farei meraviglia se se ne volesse introdurre la causa di beatificazione, nel qual caso sarei pronto a sottoscrivere la supplica”.  Giuseppe Moscati, che Giovanni Paolo II ha canonizzato il 25 ottobre 1987, fu proclamato beato da Paolo VI il 16 novembre 1975, proprio nella ricorrenza del venticinquesimo anniversario della morte di Mons. Marini. Semplice coincidenza? Papa Giovanni è diventato beato. Si sarebbe potuto avviare anche per mons. Marini lo stesso iter procedurale. Lo auspicava, nel corso di una cerimonia rievocativa, in cattedrale, il compianto onorevole Francesco Amodio, già sindaco di Amalfi: “Mentre e sepulchro adhuc clamat Gloria Tibi Trinitas, nel Cielo il Suo spirito è tuffato in eterno nei gaudi del Dio Uno e Trino. Sorgerà il giorno in cui anche monsignor Marini potrà essere annoverato tra i Santi che noi veneriamo? Noi formuliamo il voto e l’augurio”[10]. Mi sono fatto anch’io interprete di questo sentimento parlandone, più di una volta, sia con mons. Depalma, quando era alla guida dell’arcidiocesi di Amalfi-Cava, sia con l’attuale arcivescovo mons. Soricelli. So bene, però, di non avere titoli per farmi ascoltare.
Gli Splendori del Credo, edito nel 1933, ristampato nel 1938 e nel 1939, pubblicato anche nella traduzione in lingua spagnola, raccoglie le lettere pastorali scritte nel decennio 1924-1934. I relativi dogmi, trattati con grande profondità teologica, “sono presentati con un ordine logico preciso ed esposti con uno stile fluido e convincente. Nessuna pesantezza cattedratica, nemmeno il minimo smarrimento in quisquilie e secondarietà, si nota nell’importante lavoro: ma di ogni verità una nitida visione d’insieme, e poi un’analisi accurata della sostanza, una presentazione geniale. Vi alita, con il raggio della scienza, un fervore entusiasta perché la Verità non si perda nell’arida astrazione, ma si renda accessibile, sia ricevuta, amata, seguita, e possa fecondare e rendersi evidente nelle opere della pietà, dell’adorazione, dell’amore” [11]. Don Giuseppe De Luca, sull’Osservatore Romano, riconosceva a mons. Marini il merito di essersi dedicato ad opere di edificazione e di istruzione cristiana, tese a glorificare il mistero della SS. Trinità, in un tempo in cui verso di esso esisteva una certa indifferenza, dovuta ad “un fenomeno più vasto e più doloroso. Su taluni dommi e cioè sui maggiori, alcuni cristiani provano quasi un senso di disagio, quando ne debbono parlare. Sorvolano, accennano, eludono… Lo sforzo di molta, di troppa intelligenza europea durante gli ultimi due secoli – aggiungeva l’illustre teologo – si è diretto contro il mistero cristiano. Filosofia, storia, scienze naturali, scienze sociali, arti, si son ritrovate per opera di molti a congiurare dapprima e poi a marciare apertamente contro il soprannaturale… I pallidi cristiani, che dicevamo, si sono gettati a gridare, anche loro, limitandosi a professare quella parte della nostra Fede, che si fosse accordata con il rumore mondano. Quanti discorsi, più consoni al secolo che non all’eternità! Quante ansie, più proprie del nostro tempo che non della nostra anima e del nostro Dio! Quanta viltà, mascherata di zelo, nel presentare il cristianesimo come una concezione adattabile per tutti gli uomini in tutti i tempi!… Contro così pusillanime atteggiamento hanno reagito studiosi insigni, narrando la storia del domma della SS. Trinità o illustrandolo; hanno reagito anime stupende, che del domma della SS. Trinità hanno fatto la loro gioia e la loro gloria nella contemplazione” [12]. Mons. Marini era tra questi.
Come rileva don Andrea Colavolpe, nella sua biografia del venerato arcivescovo, Gli Splendori del Credo si proponeva di “offrire una ricca riflessione sulle verità professate nel Credo”. Mons. Marini “intese colmare due lacune. La prima: si predica molto spesso la dottrina morale di Gesù, molto meno i principi che l’informano, cioè il dogma, e ciò produce un profondo disagio. Perché, se nella Morale si presenta la virtù da vivere, il giogo di Cristo da portare, è necessario, anche, nel Dogma, far comprendere che quel giogo diventa “leggero”, perché lo Spirito Santo dona la grazia e l’amore nei Sacramenti. Il Marini, poi, presenta il Dogma non in una maniera arida e distaccata – questa sarebbe la seconda lacuna – ma col calore della convinzione, capace di destare l’ammirazione, lo stupore. Riporta, a proposito, nella prefazione, una pagina di un autore, il gesuita p. Plus, che vale la pena di trascrivere: “Com’è doloroso osservare che si può per sei mesi studiare il trattato della Grazia e del Verbo Incarnato senza rimanere stupiti una sola volta, commossi una sola volta, senza aver ammirato una sola volta, senza aver toccato nulla di vivo una sola volta! Non abbiamo palpato se non qualcosa di scheletrico, di scarnito, di morto. I trattati teologici sfilano uno a uno, fiori magnifici, ma fiori da erbario. Eppure la realtà che dovevano tradurre è tanto ricca, tanto viva! Quale strana facoltà di sdoppiamento nell’uomo, di potersi trovare così in contatto intellettuale, incessante con Dio, senza forse pensare un a sola volta a Dio, senza forse unirsi una sola volta a Dio!”. L’Arcivescovo si era accostato alla Teologia con animo d’asceta. Esso aveva vibrato. Ora desidera trasfondere attraverso la penna nei cuori i contenuti meditati, approfonditi nei suoi raccoglimenti per presentare, viva, una dottrina che lo incantava: Dio, Uno e Trino, Creatore, Provvidente; Gesù, il Verbo che s’incarna, che fonda il suo Regno, che fa l’uomo “nuovo”, che rimane con noi nell’Eucaristia; Maria nel piano della Redenzione; lo Spirito Santo nell’attuazione della salvezza; la Chiesa Corpo Mistico; il Sacerdozio; l’Episcopato; il Papa; la Comunione dei Santi; la Vita eterna. […] La SS. Trinità domina in ogni singola trattazione”  [13].
Nella ricorrenza del quarantesimo anniversario della morte, mons. Gioacchino Illiano, amministratore apostolico dell’Arcidiocesi di Amalfi - Cava de’ Tirreni, sottolineò l’elevata e feconda visione teologica di mons. Marini - quella, appunto, trinitaria, cui saldamente aveva ancorato la sua molteplice azione pastorale, - e il ruolo di esponente di punta del movimento liturgico in Italia (che gli ottenne, da parte dell’abate benedettino di S. Maria di Finalpia, D. Salvatore Marsili, insigne maestro di Liturgia, una menzione significativa nella Introduzione alla Liturgia, edita dalla Marietti): qualità che avevano fatto di lui “un precursore della nuova stagione ecclesiale, inaugurata dal Vaticano II con la riforma liturgica e la riscoperta della centralità del mistero trinitario nell’economia della salvezza” [14]. Peraltro, già nel maggio 1914, il primo numero della “Rivista Liturgica”, citando ampiamente la XIV lettera pastorale “La Preghiera”, pubblicata nel 1911, quando era vescovo di Norcia, gli aveva assegnato un posto d’onore nel risveglio del movimento liturgico in Italia [15].
© Sigismondo Nastri



[1] La morte di S.E. Mons. Ercolano Marini, in: Rivista Ecclesiastica Amalfitana, anno XXXVI, n. 1, gennaio-febbraio 1951.
[2] Pistone G.E., Mons. Ercolano Marini metropolita amalfitano, in: “Pro-Famiglia”, 20 giugno 1915.
[3] Ibidem.
[4] Incagliati M., Lo spirito di un sacerdote mentre Amalfi rinasce, in: “Il Giornale d’Italia”, 16 aprile 1924.
[5] Incagliati M., Un Arcivescovo, in: “Il Giornale d’Italia”, 14 settembre 1922.
[6] Incagliati M., Lo spirito di un sacerdote…, cit.
[7] Turri A., L’Arcivescovo Ercolano Marini e la sua carità, in: “A S.E. Mons. Ercolano Marini (nel XXV della morte)”, a cura della famiglia De Luca, 1975.
[8] Marranzini A., Ferrini, Moscati e Giovanni XIII tre apostoli, testimoni di santità, in: “Il Gesù Nuovo”, n. 1, gennaio-febbraio 2003.
[9] Marini E., Il Prof. Giuseppe Moscati della Regia Università di Napoli, Giannini, Napoli 1929.
[10] Amodio F., Ricordo di Monsignor Ercolano Marini, discorso pronunciato nella cattedrale di Amalfi il 16 novembre 1991.
[11] “Perfice Munus”.
[12] “Osservatore Romano”, 4 giugno 1939.
[13] Colavolpe A., Quasi aquila nell’Infinito. Ercolano Marini, l’Uomo, il Pastore, il Teologo, De Luca Editore, Salerno 2000.
[14] Illiano Mons. Gioacchino, Lettera di presentazione dell’opuscolo “O Beata Trinità! – Preghiere dettate da Mons. Ercolano Marini”, edito a cura della famiglia De Luca in occasione del 40° anniversario della morte, ottobre 1990.
[15] “Rivista Liturgica”, 1, 1914. Cfr. anche: Mons. Marini pioniere in tempo di nebbie liturgiche, in: “A. S.E. Mons. Ercolano Marini”, cit.




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