mercoledì 23 novembre 2016

A PROPOSITO DELLE FILASTROCCHE NELLE VETRINE DI UN NEGOZIO DI LUSSO A SALERNO

L’amico (carissimo) e collega (bravissimo) Gabriele Bojano ha scritto stamane su Facebook: “IL MARKETING SENZA DECENZA Mettere in vetrina detti e proverbi della nostra cultura popolare è un'operazione innovativa ma molto rischiosa. Si sottolinea infatti troppo in evidenza il divario con la merce esposta, dai prezzi proibitivi. Uno schiaffo sonoro alla miseria travestito da marketing, il classico esempio di pane per chi non ha i denti…”.
Una volta tanto, mi scuserà, non sono d’accordo con lui.
Le filastrocche riprodotte nelle vetrine sono quelle che io ho pubblicato, giorno dopo giorno, su Facebook. Recuperandole (nella loro autenticità: non le ho certo inventate, si trovano dappertutto, nei libri e sul web, per lo più in modo approssimativo o scritte male) soprattutto dalla memoria personale, familiare, dei tanti amici che mi hanno dato una mano. C’è stato un confronto, quasi quotidiano, in particolare con persone non giovanissime, che sono cresciute con quelle filastrocche, che con quelle cónte ci hanno giocato. Come si usava ai miei tempi. Sto facendo ora la stessa cosa postando il “proverbio del giorno”.
Qualcuno ha riconosciuto che le filastrocche sono “riscritte” in un napoletano corretto. Questo mi dà soddisfazione. E' da una vita che mi batto per la lingua napoletana, reclamando che sia tutelata da una istituzione ad hoc, tipo Accademia della Crusca. I testi delle canzoni di oggi mi fanno venire i brividi (e tanta rabbia). Compresa quella “appocundria” – che dovrebbe essere ‘a pocundria - di Pino Daniele.
Quanto all'utilizzo di queste filastrocche – prese dal mio blog: una cosa che mi ha fatto piacere, tanto più che s’è avuta la cortesia di evidenziarlo - per l'allestimento delle vetrine di un negozio di abbigliamento di lusso, Brancaccio (nel quale, confesso, non sono mai entrato: non è il mio genere), dovuto a  professionisti seri, intelligenti e capaci del mondo della grafica e della comunicazione, che conosco e stimo, non mi pare che ci sia niente di scandaloso.
Bojano parla di "uno schiaffo sonoro alla miseria travestito da marketing" e in questo ha ragione. Ma è tipico della società di oggi. Basta prestare attenzione a certi messaggi trasmessi dalla tv e alla pubblicità sui giornali. Io sono un abituale lettore del Corriere della sera: non è la stessa cosa quando, sfogliando i supplementi che mi si obbliga a ritirare dal giornalaio, mi trovo sotto gli occhi orologi di marca, costosissimi, macchine di lusso, champagne e caviale, abiti firmati da grandi stilisti che non potrò mai acquistare?
La pubblicità è fatta per attirare l'attenzione, la curiosità della gente: se ci si riesce con una vetrina vuol dire che s'è raggiunto lo scopo. Io credo che - proprio con la mediazione delle filastrocche - sia stata compiuta anche un'operazione culturale.
“La pubblicità – sostiene Luis Bassat, noto creativo catalano - emoziona, innamora, seduce. Suscita emozioni. Un chilo di pubblicità può contenere 999 grammi di razionalità, ma brillerà e si distinguerà per il suo grammo di follia”. Se fa anche discutere, ha raggiunto lo scopo.
Sigismondo Nastri

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