martedì 3 dicembre 2013

"DECLINAZIONE DEL PAESAGGIO", LA MOSTRA DI NATALE ALLA GALLERIA "IL CATALOGO" DI SALERNO



Sabato 7 dicembre,  alle ore 19,00, la Galleria "Il Catalogo" di Lelio Schiavone e Antonio Adiletta, a Salerno - via A.M. De Luca n. 14, inaugurerà la tradizionale mostra natalizia dei suoi autori più importanti,  che rimarrà aperta al pubblico fino al 6 gennaio 2014 (orario: martedì – sabato, ore 10,30 - 12,30 e ore 17,30 - 20,00).
Titolo: "Declinazione del paesaggio". L'inaugurazione è fissata per le ore 19.00 di sabato sabato 7 dicembre.
Nazzareno Cugurra: Roma, scorcio del viale Cortina d'Ampezzo
Questa la notizia. La parola, ora, al comunicato stampa firmato dalla collega ed amica Olga Chieffi:
«La sottile linea che separa nell’arte il territorio reale da quello dell’immaginario è da secoli un tema molto sentito e sviscerato nell’arte visiva. Spazi, luoghi, idee, oggetti, edifici generano immagini e raccontano i flussi della memoria e del tempo con la sensibilità degli artisti contemporanei. Ogni paesaggio, reale o immaginario, frutto della rielaborazione poetica di un artista, rivela una scintilla vitale, un percorso personale. Racconta un’esperienza di vita che cela una carica espressiva portatrice di un’energia proveniente da un recente passato che ci proietta nelle visioni del futuro. Il paesaggio e la sua evoluzione fisica e concettuale diventano un punto di partenza per analizzare e confrontare alcuni aspetti presenti nell’arte, quali la tensione spirituale e la ricerca del senso dell’uomo, con altri estremamente attuali come l’accresciuta attenzione verso l’ambiente, la globalizzazione, l’interconnessione, la rivoluzione digitale, la perdita di fiducia in un miglioramento continuo e il senso di paura e angoscia verso il futuro che la nostra generazione sta vivendo.»
Graziana Pentich: Marina, 1966
La mostra propone «un serrato ma agile confronto tra vecchie e nuove generazioni di pittori, ognuno con una caratteristica e particolare rappresentazione del paesaggio italiano che a volte, anzi spesso, è anche un paesaggio interiore. Da una interpretazione paesaggistica di stampo novecentesco e naturalistico di Mario Carotenuto e Virginio Quarta, ad una versione contemporanea e più astratta di Paolo Bini, passando per le vedute dal segno intimo di Eliana Petrizzi e Amedeo Ternullo e le scenografie urbane di Giovanni Tesauro. A completare la disamina di declinazioni panoramiche il contributo di maestri del '900 come Carlo Quaglia, Nazzareno Cugurra, Graziana Pentich, Sergio Scatizzi, Enrico Paulucci, Renato Borsato che con il proprio tratto distintivo hanno contribuito a dare forma al proprio personale paesaggio. La rappresentazione del paesaggio nel disegno e nell’opera pittorica ripropone specularmente il risultato delle attività umane e della potenza della natura, in un complesso percorso che va dalla Grecia classica fino alla rivoluzione contemporanea e riguardante la resa della più profonda verità della natura attraverso “lo sguardo della mente”. E’ questa una delle tesi più acute della contemplazione del paesaggio, moto dei sensi e della mente dal quale comunque parte l’opera stessa dell’uomo. All’origine di questo sguardo mentale per la rappresentazione, che è in anticipo sull’arte dell’imitazione e della raffigurazione, quasi un sensus communis dello sguardo sulla realtà circostante l’ abbraccio tra il fare dell’uomo e lo spazio intorno a lui, la fusione tra soggetto e oggetto, che si fa strumento principale per cogliere e trasmettere il mistero, l’inesplicabile, l’invisibile. L’ uomo stesso viene rappresentato nell’arte del paesaggio, latore di un sentire necessario, che traduce in un riconoscimento delle forme e ancora in una loro evocazione, fino ad elaborarlo in viva partecipazione e annullamento catartico.»


"IL SABATO DEL VILLAGGIO" ALL'HOSTERIA BACCO DI FURORE: TRE SERATE (7, 14, 21 DICEMBRE) ALL'INSEGNA DELLA BUONA CUCINA TRADIZIONALE

Devo la notizia a Domenico, figlio del mio caro amico Raffaele Ferraioli. All'Hosteria Bacco di Furore si annunciano tre serate - tutte di sabato - come Dio comanda. Cioè all'insegna della nostra cucina tradizionale, quella che ci hanno insegnato le nostre nonne e, per chi ha la mia età, le nostre mamme. Titolo di queste serate, "Il sabato dell'assaggio", ma è certo che non si tratterà solo di un assaggio perché, quando le pietanze sono squisite (e a Furore lo sono) è 'a cannarizia a farla da padrona. Anche se non è soltanto una caratteristica nostra. Magari, in altri luoghi, la chiamano semplicemente golosità
Come ho già raccontato in altra circostanza, «il Duca di Durcey, vedendo Cartesio mangiar buone pietanze, gli disse motteggiandolo: “Anche i filosofi si dilettano di queste delicatezze?”. Al che Cartesio rispose: “Credete dunque che la natura le abbia prodotte solo per gli imbecilli?”». Trovo la storiella quanto mai significativa e penso si possa ben applicare al popolo napoletano, per il quale ‘o magnà non rappresenta solo una necessità per la sopravvivenza, anche se spesso lo è stato, e ancora lo è (penso a tutta una storia di povertà, di carestie, di guerre), ma un vero e proprio rito, da condividere con gli altri. Chi magna sulo s’affoca, recita un proverbio. ‘A cannarizia, per un napoletano – lo rilevava già l’indimenticabile Max Vairo -, non è un peccato capitale, al quale si accompagna il senso di colpa, ma un peccato intelligente, che, mi viene da aggiungere, ti trasporta in uno stato di sommo godimento, come avviene in amore.
Sulla parete della cinquecentesca taverna del Cerriglio, un anonimo scrisse: Magnammo, amice mieie, e po’ vevimmo /      Fin tanto c’arde ll’uoglio a la lucerna; / chi sa si all’autu munno nce verimmo, / chi sa si all’autu munno nc’è taverna! 
Concetto ripreso nell’Ottocento da Marco d’Arienzo nell’opera buffa Piedigrotta, musicata da Luigi Ricci: Magnammo, amice mieie, e po’ vevimmo / Nzì c’arde lo locigno a la cannela; / pocca st’orra de spasso che tenimmo / scappa, comme pe’ mare fa na vela. / Nce simmo mo; vedimmencenne bene: / lo presente è no sciuscio e nun se vede; / lo passato è passato e cchiù nun vene; /   e a lo dimane chi nce mette pede? Alla luce di questi concetti, sottoscrivo l'appello che viene trasmesso dall'Hosteria Bacco: “Smetti di fare piatti internazionali che trovi in tutte le città del mondo. Sii geloso delle specialità della tua terra. Adopera i suoi prodotti e stai attaccato alla sua tradizione. Ti consento solo di metterci un po’ del tuo sapere.” E, allora, per ritrovare i sapori della nostra tradizione, la cucina e la cultura dei vecchi tempi, ben vengano, dal  7 dicembre, e poi il 14 e il 21 dicembre, queste grandi serate culinarie de “Il Sabato dell’assaggio”  tese a far riscoprire la buona tavola dei tempi andati con i piatti tipici campani preparati dalle sapienti mani della signora Erminia e di Pietro Cuomo. In un ambiente raffinato, tutto affacciato sul mare, con l'accompagnamento di buona musica napoletana e l'ebbrezza (attenzione: voglio dire solo l'esaltazione dello spirito) procurata dai raffinati vini di Marisa Cuomo.

Per informazioni e prenotazioni - mi dice Domenico - basta chiamare il numero 089830360 o consultare il sito www.baccofurore.it.
Non dico altro. Però lo confesso: questa cosa mi stuzzica. Molto.

VENERDI' 6 DICEMBRE SI PRESENTA A RAVELLO IL LIBRO "GESU' E' PIU' FORTE DELLA CAMORRA" SCRITTO A QUATTRO MANI DAL PRETE ANTICAMORRA DON ANIELLO MANGANIELLO E DAL GIORNALISTA ANDREA MANZI




Venerdì 6 dicembre, alle ore 18.30, nel complesso monumentale dell'Annunziata, a Ravello, prende il via la rassegna di eventi dal titolo "Riflettori", organizzata dalle associazioni culturali "Duomo di Ravello" e "Ravello Nostra", dal Museo dell'Opera del Duomo e dal quotidiano Il Vescovado.
Il primo appuntamento è riservato alla presentazione del libro "Gesù è più forte della Camorra" (Rizzoli) di don Aniello Manganiello, l'ex parroco anticamorra di Scampia,  allontanato dalla periferia di Napoli con un provvedimento non chiaro e non motivato della Congregazione guanelliana. In quella circostanza la popolazione si schierò dalla parte del sacerdote, e in maniera abbastanza decisa: con blocchi stradali e clamorose manifestazioni di protesta.
Nel libro c'è la testimonianza diretta di questo coraggioso e instancabile prete di strada che ha portato la speranza nell'inferno di Scampia in sedici anni di durissimo lavoro, donando un sorriso e giorni di ottimismo a circa centomila abitanti, in un'area dove la disoccupazione è al 70 per cento e vi è un mercato fiorentissimo della droga gestito da una camorra spietata.
Attualmente don Manganiello è impegnato in prima linea nella "terra dei fuochi" con la denuncia quotidiana dello scempio dell'ambiente e delle complicità tra camorra e palazzi del potere: il fronte da lui creato è sostenuto dallo scrittore Erri De Luca, da giornalisti e soprattutto dal mondo della scuola.
 Saviano ha descritto Scampia osservando il quartiere dall'alto, don Aniello invece nelle Vele ci è entrato davvero, ogni giorno, per sedici anni, impugnando il Vangelo contro le pistole.
Il volume che si presenta a Ravello è stato scritto a quattro mani con Andrea Manzi, scrittore e giornalista, da anni impegnato nel sociale, oltre che nel mondo della cultura. Manzi è stato il fondatore e direttore, per i primi sette anni di vita, del quotidiano "La Città" del Gruppo l'Espresso; è stato redattore capo de "Il Mattino" di Napoli e vicedirettore del "Roma". Nel 2011 e 2012 è stato segretario generale della Fondazione Ravello, ora dirige la Fondazione Alario per l'alta formazione.
Al saluto di monsignor Giuseppe Imperato, parroco del Duomo di Ravello, seguirà la presentazione del testo a cura dell'avvocato Paolo Imperato, già sindaco di Ravello, dopodiché gli autori parleranno della loro esperienza.
Moderatore della serata sarà il direttore de Il Vescovado, Emiliano Amato. Al termine è prevista l'esibizione pianistica di alcuni giovani talenti della Città della Musica e una degustazione di vini doc Costa d'Amalfi, accompagnati da finger foods e dai prodotti del Caseificio Staiano di Ravello.
Paolo ed Emiliano sanno già che venerdì pomeriggio ho la presentazione del mio libro ad Amalfi e, quindi, non posso andare a Ravello. Mi dispiace molto.

lunedì 2 dicembre 2013

LA "BASILICATA DI DON ALFONSO"



I primi a uscire di casa, quel mattino, si trovarono dinanzi agli occhi uno scenario allucinante. Non per un terremoto, ma per il vento che aveva imperversato durante la notte, prendendo di mira gli alberi, riversando sulle strade tegole, lamiere, cocci e vetri. Ora, per fortuna, la bufera s’era placata. Però il mare rimaneva agitato. 
Mareggiata ad Amalfi
(
elaborazione digitale di Anny Gérard)
Lunghi cavalloni si rincorrevano fino a infrangersi contro il molo e contro le scogliere, per trasformarsi, tra il tondo Volpe e la vecchia torre del Luna, in alte colonne d’acqua. Le onde invadevano la piazza deponendovi ghiaia e sabbia. Uno spettacolo inatteso che faceva impazzire i turisti, tutti alle prese con macchine fotografiche.  Solo i pescatori apparivano amareggiati, perché, almeno quel giorno, non avrebbero guadagnato un soldo. E meno male che la sera precedente, dato uno sguardo al ponente, secondo un'abitudine ereditata dagli avi (non esisteva ancora la televisione e neppure un servizio di previsioni del tempo), s’erano resi conto del pericolo. Avevano tirato  a secco le barche e ormeggiato a dovere le cianciole nel porto.

«Appena il mare comincia a calmarsi - si consolava qualcuno – chissà quanti bei saraghi si potranno prendere all’amo».
In piazza, "don" Alfonso, Raffaele e Tobia si davano da fare a discutere animatamente, con altri, di quella eccezionale tempesta, che aveva reso il sonno difficile. Il gruppo diventava sempre più folto e ognuno riferiva le proprie impressioni, formulava ipotesi, persino le più stravaganti.  "Don" Alfonso era convinto di aver visto, attraverso il vetro della finestra, il furioso passaggio di una tromba d’aria. «Ma no - insisteva Tobia che, da vecchio lupo di mare, di situazioni simili ne aveva vissute tante -, s’è trattato solo di una libecciata».
Intanto se ne valutavano le conseguenze: qualche tetto divelto, pezzi di cornicioni caduti, alcune auto danneggiate, insegne di negozi ridotte in frantumi. "Don" Alfonso possedeva una bella casa, ariosa, con un ampio terrazzo, sul quale coltivava, in tanti vasi, prezzemolo, basilico, mentuccia, salvia e rosmarino. Agli amici, che pendevano dalle sue labbra, ripeteva con enfasi: «Figuratevi, il vento è stato così forte che mi ha distrutto tutta la… basilicata!».
© SigiNastri 2000 (da: "Racconti dalla Costa d’Amalfi")