mercoledì 11 marzo 2015

A GAETANO AFELTRA VA IL MIO AFFETTUOSO RICONOSCENTE PENSIERO NEL CENTENARIO DELLA NASCITA



Cento anni fa – l’11 marzo del 1915 - nasceva Gaetano Afeltra, “il più grande degli amalfitani” come lo definii nel dedicargli la poesia “P’ ‘e vicule d’Amalfi”  che mi valse una medaglia d’oro in un concorso promosso dal Lions Duomo della metropoli lombarda e un bel telegramma da lui, che ho tra le cose più care (“Ricevo molti complimenti per la poesia che mi hai dedicata…”). 
Don Gaetano, come lo chiamavamo noi, che gli eravamo affezionati (io, Gigino De Stefano, Umberto Belpedio, Camillo Marino… per citare solo qualcuno), se n’è andato il 9 ottobre 2005 e Amalfi, in quasi dieci anni, non è riuscita a intitolargli il breve tratto di via, dov’egli veniva a trascorrere i periodi di vacanza, che collega piazza Duomo con piazza dei Dogi, e nemmeno a cogliere la disponibilità della figlia Maddalena a trasferire qui la sua immensa biblioteca.   Peccato!
Gaetano Afeltra è considerato, a buon diritto, uno dei maestri del giornalismo italiano. In una scheda biografica leggo: "Ha guidato e rinnovato giornali, ha scoperto, stimolato, lanciato firme illustri. La sua grande passione è stata soprattutto 'fare' un giornale dove notizia, prosa, titolo, impaginazione si fondono per dare ai lettori un'informazione completa". Per rendersene conto, basterebbe sfogliare - ancora oggi, a distanza di mezzo secolo e più - una copia del Corriere d'Informazione, l'edizione del pomeriggio del Corriere della sera, che, affidata a lui, si trasformò in un giornale "informativo, sensazionale, elegante", attento ai fatti del costume e alla cultura. Una esperienza coraggiosa, unica, mai più replicata, nel panorama del giornalismo italiano. Che portò quel quotidiano alla tiratura di duecentomila copie.
Una foto scattata, non ricordo in che anno,
al Circolo della Stampa di Napoli.
Da sinistra: Umberto Belpedio, all'epoca responsabile della redazione
salernitana del Roma, Gaetano Afeltra, Sigismondo e Antonio Nastri
Ho voluto bene a Gaetano Afeltra, senza mai chiedergli niente (al contrario: mi fu offerta, nel 1958, dopo che avevo conseguito la maturità classica, la possibilità di trasferirmi in Lombardia, ma non ebbi il coraggio di allontanarmi da Amalfi), e me ne ha voluto. Lo conoscevo, già da bambino, come conoscevo la mamma, signora Maddalena, vedova del segretario comunale Luigi Afeltra (ricordo che sia mio nonno, sia mio padre sono stati impiegati al comune di Amalfi), il fratello, reverendo don Andrea, poi mio professore di religione, la sorella, signorina Sisina. Gli Afeltra abitavano, allora, in via Pietro Capuano, nello stesso palazzo dove aveva casa mio nonno. Dai racconti di mio padre sapevo tutto  di Cesare Afeltra, il fratello maggiore di don Gaetano, grande giornalista anche lui, scomparso nel 1940 (per approfondimenti, ved. il mio articolo "Cesare Afeltra, dal Giornale d'Italia al Corriere della sera", su mondosigi del 30.10.2007, e "Matteo Incagliati, Cesare Afeltra e il giornalismo ad Amalfi negli anni venti e trenta del XX secolo", la conferenza che tenni il 30.6.2006 negli antichi Arsenali di Amalfi per l'inaugurazione della mostra "1884-1946 - Dal Viv' 'o Re al boogie-woogie. La Costa d'Amalfi in bilico tra vecchio e nuovo mondo dai ricordi di Gaetano Afeltra").
Quando, negli anni cinquanta, mi feci promotore delle onoranze a Angelo Di Salvio, un intellettuale amalfitano morto precocemente nel 1935 e poi dimenticato, la prima adesione pervenutami fu quella di don Gaetano. Avvenne così anche nel 1999/2000, quando, da direttore di èCostiera, lanciai un appello, raccolto pure da Indro Montanelli,  per salvare i libri di Alfonso Gatto che – aveva riferito Repubblica - la Mondadori stava per mandare al macero.
Alla morte della mamma, don Gaetano volle che andassi a casa sua, per alcuni giorni, per aiutarlo a rispondere alla montagna di messaggi di cordoglio ricevuti. I primi che mi capitarono sotto mano furono quelli del Papa e del Presidente della Repubblica (Saragat, mi pare).
Nel venticinquesimo anniversario della morte del fratello sacerdote mi affidò il compito di organizzare una cerimonia di suffragio (ma anche rievocativa). In quell’occasione, grazie alla disponibilità di Gigino De Stefano, Andrea Maiorino e don Andrea Colavolpe, e quella – fondamentale - di Peppino de Luca, che si fece carico di stamparlo su splendida carta a mano di Amatruda, pubblicammo il libretto “In memoria di Mons. Andrea Afeltra”
Di don Gaetano conservo, con i libri contrassegnati da dediche affettuose, due lettere manoscritte. In una manifesta apprezzamento per una mia inchiesta, in due puntate, sui pizzaioli della Costiera emigrati nel Pavese. “Sapevo che eri bravo – mi dice – ma questi tuoi articoli me ne hanno dato la prova”. In un’altra lettera va oltre: “Mi piace il tuo modo di scrivere…”. Per me valgono più di un diploma di laurea.

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