mercoledì 31 agosto 2016

A MARGINE DI UN EDITORIALE DI PIER LUIGI VERCESI SU "SETTE". AUMENTANO LE DISUGUAGLIANZE. OCCORRE CHE LA CLASSE DIRIGENTE SE NE FACCIA CARICO PRIMA CHE SIA TARDI

Riprendo tra le mani Sette, il supplemento del Corriere della sera, datato 22 luglio scorso, e mi soffermo sull’editoriale del direttore, Pier Luigi Vercesi, che non avevo ancora letto. Lo condivido: non tanto per le informazioni che fornisce, su base Istat: 4,6 milioni di italiani in stato di assoluta povertà, pari al 7,6% dei residenti e due volte e mezzo quelli censiti nel 2007 (1,8 milioni, il 3,1%). E poi: il calvario dei giovani che non trovano sbocchi occupazionali (sarebbero 600 mila quelli, tra i 15 e i 19 anni, che non studiano, non lavorano, né cercano un impiego). 
Chi se ne fa/dovrebbe farsene carico in una “Repubblica democratica, fondata sul lavoro”?
Non sono i dati statistici che mi hanno colpito, ma la conclusione a cui giunge Vercesi.  Se la classe dirigente (politica ed economica) non affronta questi problemi – dice – a partire dalla scuola, le disuguaglianze sono destinate a crescere: “e allora quell’eccellenza che vuole farsi élite non di governo ma di privilegio, come in epoca feudale, prima o poi pagherà il prezzo che hanno pagato, nella Storia, tutte le élite strabiche: prima la protesta, poi l’insicurezza, infine la violenza”
Io sono vecchio, non ci sarò.  Ma mi auguro, per il futuro di questo nostro Paese, che una ribellione delle coscienze, con un sussulto di dignità, ci possa essere.  Ricordo che sono state le grandi rivoluzioni (non necessariamente sanguinarie: penso a quella del Cristianesimo e alla “satyagraha”, la disobbedienza non violenta di Gandhi, più che al 1789 francese o al 1917 russo) a segnare tappe fondamentali nella storia dell’umanità. 

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