mercoledì 23 aprile 2014

QUELLA MIA SINGOLARE STRETTA DI MANO CON GIOVANNI PAOLO II, CHE DOMENICA PROSSIMA DIVENTA SANTO

Dal blog del 19 settembre 2007 ripropongo qui il racconto della stretta di mano con  Giovanni Paolo II, che domenica prossima sarà proclamato santo da Papa Francesco.

Pensavo a Karol Wojtyla, ai suoi appelli a spalancare le porte a Cristo, al ruolo, che Dio gli aveva affidato, di pellegrino d’amore, di giustizia e di pace nella nostra storia, mentre mi accingevo ad assistere a una delle udienze generali del mercoledì nell’aula “Paolo VI” in Vaticano. Ero con un gruppo di colleghi, soci dell’Associazione salernitana della stampa, presieduta dall'amico Mimmo Focilli, che aveva organizzato il viaggio a Roma con l’autorevole appoggio di Angelo Scelzo. La sala, progettata da Pierluigi Nervi, è più grande di quanto uno, che non vi sia stato, riesca a immaginare. Quel giorno, il 27 gennaio del 1993, era gremita. Mi trovavo coinvolto in un’esperienza che, se m’incuriosiva, mi caricava pure di una indicibile tensione. Esaurite le formalità di rito, avevamo occupato le sedie nel settore a noi riservato. Stavamo ora aspettando il momento in cui Giovanni Paolo II sarebbe entrato dal fondo per portarsi, attraverso il lungo corridoio centrale, delimitato da transenne, sul palco dominato dal Cristo trionfante di Pericle Fazzini, dove le porpore cardinalizie componevano un ulteriore suggestivo elemento scenografico.
La mia singolare stretta di mano con Giovanni Paolo II
A ridosso delle transenne, all’improvviso, si avvertì uno spingi-spingi: segno che era cominciata la corsa alla conquista di una posizione privilegiata. I più fortunati – meglio, i più lesti – riuscirono a sistemarsi in prima fila. La prontezza di riflessi mi consentì di essere nel ristretto numero di privilegiati – ristretto, si badi bene, rapportato a venti o venticinquemila persone – nonostante l’inesperienza, dovuta al fatto che non avevo mai partecipato, prima di allora, a un incontro col Papa. 
Del Vaticano conoscevo sì e no la Basilica di San Pietro e la Cappella Sistina.
Ed ecco che apparve, nella sua veste bianca, con uno sguardo affaticato eppure dolcissimo, di una luce capace di penetrare le pietre e le coscienze. Vi fu un applauso prolungato e assordante. Egli avanzava a piccoli passi, seguito da monsignori e dignitari, salutando, accarezzando, benedicendo. Tutti cercavano di coglierne, in presa diretta, un’immagine non di routine, nonostante fossero all’opera un fotografo e un operatore televisivo “ufficiali”, ai quali era concessa una certa libertà d’azione.
Il mio desiderio più grande, vedere Giovanni Paolo II da vicino, si stava realizzando. Il Papa era costretto, via via, a fermarsi per ricevere i doni recatigli dai pellegrini venuti da ogni regione d’Italia e dall’estero.   Appena mi passò davanti, mi sporsi quanto potevo, oltre la balaustra, e gli strinsi la mano. Non fu lesto il fotografo a fissare l’attimo sulla pellicola. Io, intanto, non mollavo la presa. Si determinò una situazione imbarazzante, della quale non mi rendevo conto. Giovanni Paolo II, con delicatezza, cercava di liberarsi. Ci riuscì solo dopo il flash. Quella foto, che ritirai lo stesso pomeriggio nella redazione dell’Osservatore Romano, la conservo tra le cose più care. A riguardarla, rivivo l’episodio con immutata carica emotiva. Mi rivedo sommerso dalla marea umana, con la mano che s’aggrappa a quella del Santo Padre. E mi tornano in mente le cose che egli, poco dopo, ci disse: «V’invito ad essere servitori della verità, affinché l’opinione pubblica possa essere oggettivamente informata e formarsi un giudizio equanime sulle vicende che vengono riferite». Parole di cui occorre far tesoro nel nostro lavoro, se vogliamo evitare di incorrere in pericolose cadute di stile, non rare, purtroppo, nell’universo della comunicazione. Altro che i corsi di deontologia, organizzati dall'Ordine dei giornalisti, che la legge c'impone di frequentare!
© Sigismondo Nastri


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