Il dottor Nicola d’Amato, che s’è
spento a Roma il 27 luglio scorso fa alla veneranda età di 92 anni, era un gran
signore: non solo per appartenenza familiare (il padre, Vincenzo, medico condotto, è ancora nella memoria e nel cuore degli abitanti di Scala), ma soprattutto per formazione e
stile. Conservo ancora una sua lettera, inviatami per ringraziarmi di un articolo
col quale avevo ricordato il fratello, don Cesario, già abate di san Paolo a
Roma e appassionato cultore della storia del territorio amalfitano.

Il 4 gennaio 1941, insieme ad
altre 40.000 persone, fu fatto prigioniero dagli Inglesi a Bardia e trasferito
attraverso l’Egitto sul canale di Suez, da dove i prigionieri furono imbarcati
e portati in India, prima nella regione del Bengala, poi alle pendici
dell’Himalaya.
Tornò in Italia il 28 ottobre
1945. Partecipò con successo a due concorsi per funzionari banditi dal
Ministero dell’Interno, risultandone vincitore. Fu destinato prima alla
questura, poi alla Prefettura di Ascoli Piceno, dove per più di un anno svolse
le funzioni di Capo di Gabinetto del Prefetto.
Di qui fu trasferito nella Capitale.
Lavorò al Ministero e successivamente,
nel 1955, fu distaccato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, dove svolse
vari incarichi di carattere direttivo amministrativo: fu Capo del personale, ed
infine Vice Capo di Gabinetto con i governi Moro, Leone, Rumor, Colombo,
Andreotti, Cossiga, Forlani, Spadolini, Fanfani e Craxi. Il 4 gennaio 1984,
raggiunti i limiti d’età, fu collocato a riposo, il 4 gennaio 1984, con la
qualifica di Presidente di Sezione della Corte dei Conti.
A Scala aveva casa, ci tornava sempre con piacere, anche per
lunghi periodi, stimato, rispettato e
voluto bene dai suoi concittadini.
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