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Scrive
nella prefazione Nino d’Antonio, che
all’epoca era direttore di quel giornale: “Al
di là del rapporto amicale, a sollecitare la sua collaborazione fu la sicura
conoscenza e il continuo aggiornamento di Ferraioli sulla condizione dei paesi
dell’entroterra, da Positano a Vietri sul Mare. E’ questo infatti il territorio
che sulla spinta dei suoi primi servizi, io scoprii come ‘L’altra faccia della
Costiera’, quella cioè che non si offre facile e suggestiva agli occhi avidi
del turista, ma che richiede curiosità, interesse e – allora – anche qualche
disagio per essere conosciuta”. Perché quarant’anni fa “per gli italiani la Costiera s’identificava con Positano, Amalfi e
Ravello, una trilogia consacrata, che già pagava il prezzo di assalti
stagionali, lasciando nel contempo del tutto esclusi i borghi interni, quelli
distribuiti sull’andamento mosso dei Monti Lattari, fra terrazzamenti di
vigneti e limoni”. Il più penalizzato di questi borghi, sicuramente,
Furore: che non ne aveva neppure le caratteristiche. Intendo dire, quelle di un
piccolo agglomerato di case intorno a un campanile. Qui ce n’era un presepe di
case, ma sparpagliate su un territorio vasto, che sale dal mare del Fiordo e
della Praia fino all’altopiano agerolese. Quanto mai efficace, perciò, la definizione
di “paese che non c’è”.
Il
“viaggio” di Ferraioli attraverso la Costiera comincia, e non poteva essere
diversamente, proprio da Furore, piccolo comune soppresso dal fascismo, poi
ricostituito nel 1948. L’autore del libro dà atto del lavoro svolto dal sindaco
Vincenzo Florio, suo predecessore, e
individua “le premesse affinché questo
piccolo paese, finora sconosciuto e negletto, venga a breve scadenza investito
dal ‘boom’ del turismo, per trarre da esso benefici essenziali al suo sviluppo
economico e sociale”. Questo, il 26 settembre 1966. Un auspicio nel quale
accomuna altre località – Tramonti, Scala, Pogerola, Tovere, Nocelle,
Montepertuso – che sono poi state al centro della sua attenzione quando ha
ricoperto il ruolo di presidente della Comunità Montana.
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Ferraioli
segue un itinerario che tocca ogni angolo del territorio, Agerola
compresa, ne descrive le caratteristiche storico-artistiche, le peculiarità
paesaggistico-ambientali, ne delinea le istanze facendosene portavoce, fa
ricorso a dotte citazioni letterarie. Compie simpatiche invasioni di campo in
quelli che all’epoca erano i “santuari” della gastronomia. Sempre puntando l’indice
sul problema che più gli sta a cuore, diventato per lui ragione di vita: il
riscatto delle aree collinari, “concepito
non come una sorta di perequazione sociale
ed economica, bensì come una vera e propria catarsi purificatrice”.
Un
libro da leggere, “Primi Piani”, e soprattutto da meditare. Perché – nota
acutamente Nino D’Antonio – “molte delle
situazioni denunciate (40-45 anni fa, n.d.r.) non hanno ancora trovato una soluzione, e per qualcuna il rimedio è
risultato peggiore del male”.
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