lunedì 22 luglio 2013

"QUANTI NONNI IN CUCINA!", IL LIBRO DI RICETTE (E NON SOLO) DI TERESA GRIMALDI SAVO



Amalfi, Biblioteca comunale
Lunedì, 15 luglio 2013, ore 17.00
Il mio intervento alla presentazione del libro
“Quanti nonni in cucina!/
Ricette, parole e ricordi”
di Teresa Grimaldi Savo

Non senza motivo Teresa Grimaldi ha deciso di presentare il suo libro oggi, 15 luglio, il giorno in cui ricorre la festività di san Bonaventura. Un gesto di affetto verso l’amato Bonaventura: caro a lei, perché compagno inseparabile della sua vita, scomparso nel mese di settembre di due anni fa; caro a noi amici che lo rimpiangiamo con tanta nostalgia. Un uomo mite, buono, leale, generoso, disponibile - dissi di lui in quella dolorosa circostanza - che ancora ci manca e continuerà a mancarci. Come manca a Teresa, che ha voluto inserire nel libro alcune sue fotografie:  lo ritraggono nell’intimità della famiglia; nel lavoro, in quella libreria – il suo mondo, il suo punto di osservazione del mondo - che Pina Torre definì simpaticamente “caos organizzato”; nel tempo libero, insieme con alcuni degli amici più cari. O, per lo meno, quelli che avevano con lui una frequentazione più assidua. Perché di amici Bonaventura ne aveva davvero tanti.
Ma non c’è solo Bonaventura nel libro, che è un vero e proprio album di memorie. C’è Gemma, la mamma: la mitica Gemma, donna “forte e coraggiosa – la descrive Teresa -, mai domata dal fuoco, mai dalle sofferenze, felice di essere sul ponte di comando fino agli ultimi giorni della sua vita”. Me la ricordo dagli anni della mia prima giovinezza. La intravedevo dietro la finestra della cucina. Mi saziavo degli odori, dei profumi che uscivano da quella finestra. Poi, negli anni sessanta, andai ad abitarci, dirimpetto, e le fragranze della cucina di Gemma mi arrivavano fino in casa. 
Quando Peppino De Luca, il 1° settembre 1999, in occasione dell’Amalfi by night, regalò a Franco e Maruzziello un registro, fatto con la meravigliosa carta di Amatruda, fiore all’occhiello di Amalfi nel mondo,  per raccogliere firme e giudizi dei clienti, mi invitò a riempire la prima pagina con qualcosa di mio. Buttai giù, quasi di getto, una poesia in napoletano che ora, con qualche adattamento, ho inserito nel volume  “Ho coltivato sogni”, che sarà presentato mercoledì 31 luglio, alle ore 19.00, sulla terrazza di villa Guariglia a Raito. 

GEMMA, RIGGINA D’ ‘A CUCINA
    Si a stu paese nun tramonta
     ’o sole
      - comme dice ’o pruverbio -
     ’o sole è Gemma
      riggina d’ ’a cucina
      e ll’arta soja l’hanno ’mparato
     ’e figlie
      pe’ n’ ’a  fà’ scumparì.

      Nun ’a vedimmo cchiù
      ma Gemma è viva
      basta sentì l’addore
      d’ ’e tielle,
      d’ ’e cassuole, pignate,
      e d’ ’e rateglie
      ca d’ ’a fenesta ncopp’ ’a Sciulia
      se spanna p’ ’e Ferrare
      e mmiez’ ’a chiazza.

      È viva Gemma
      dint’ ‘o sapore d’ ’e piatanze antiche
      e nove
      ca fanno ’e chistu posto
      ’o vero paraviso d’ ’o magnà.
  
Tornando al libro di Teresa, non so proprio da dove cominciare: se dalle ricette o proprio da quell’album, al quale accennavo prima, che a sfogliarlo suscita emozioni e rimpianti. Innanzitutto per un’Amalfi che non c’è più: integra, pulita, ancora con una patina antica nella sua struttura paesaggistico-ambientale, con un fascino, una identità, che via via diventa sempre più difficile identificare. Il turismo mordi e fuggi, se pure procura vantaggio a pochi, non  risponde certamente alle esigenze di una località rinomata com’è la nostra città.  Ma è un discorso, questo, che potrebbe farci deviare dal tema di questa sera. Che è il libro. Nel quale trovano spazio, sia pure soltanto con una foto, personaggi che hanno fatto la storia di Amalfi e del territorio. Cito don Antonio Savo, il libraio gentiluomo; don Peppe Amendola, uno dei pionieri dell’attività ricettiva;  Gaetano Afeltra, il grande giornalista che le ha regalato pagine di amore struggente;  Attilio e Plinio Amendola, che per decenni hanno avuto un ruolo di primo piano nella vita politica e amministrativa della città, con attenzione soprattutto al turismo. E, poi, il Mofone, Cardella (cioè Bordello), Catozzo.
Dulcis in fundo, le ricette. E’ fondamentale saper mangiare. Meglio, sapere ciò che si mangia. Charles Lamb, poeta, scrittore, drammaturgo inglese, vissuto tra il 1700 e il 1800, ammonisce: “Detesto l’uomo che manda giù il suo cibo affettando di  non sapere che cosa mangia. Dubito del suo gusto in cose più importanti”.
Il saper mangiare è importante nella vita delle persone. Il duca di Durcey, almeno così viene tramandato, vedendo Cartesio mangiare buone pietanze, gli disse, sfruculiandolo: “Anche i filosofi si dilettano di queste delicatezze?”. Al che Cartesio rispose: “Credete dunque che la natura le abbia prodotte solo per gli imbecilli?”.
‘A cannarizia è un vizio, addirittura un peccato, ma è un vizio intelligente - non come quello del fumo, per intenderci- E’ soprattutto un piacere, il piacere di gustare le buone pietanze che fanno parte della nostra storia, della nostra cultura, della nostra tradizione. Quelle che ci sono state trasmesse da madri e nonne. Magari condividendole con gli altri, perché – insegna un proverbio napoletano – “chi magna sulo s’affoca”. 
Il richiamo a madri e nonne dimostra che, in fatto di cucina, io resto inguaribilmente tradizionalista. Non che rifiuti le sperimentazioni, ma conservo verso di esse un minimo di diffidenza. Ecco perché mi piace questo libro: perché non insegue le novità, ma ricalca e rivisita la lunga consolidata e collaudata tradizione familiare che ha fatto di Gemma la regina della ristorazione.  Proprio l’altro giorno, un signore, a Salerno, al quale avevo riferito dell’appuntamento odierno, mi ha riferito di aver mangiato, in tempi lontani, una pasta alla genovese fatta da Gemma che era il massimo della bontà. “Così - ha aggiunto - non ne ho più mangiata”. Eppure si tratta di uno che abitualmente frequenta ristoranti di buon livello.
E’ da un po’ di tempo – meglio, da un bel po’ di tempo - che i libri di cucina affollano gli scaffali delle librerie e nelle edicole di giornali: frutto, forse, di un ritrovato desiderio di avvicinarsi a quel retaggio di cultura gastronomica che ci è stato affidato dagli avi. A sfogliarli, tuttavia, si avverte  se non sono pochi coloro che si cimentano in un compito così delicato – mi riferisco agli estensori di questi ricettari - senza averne competenza o, quanto meno, senza il supporto di attente ricerche sul campo. C’è uno scopiazzarsi l’un l’altro. Nel caso di Teresa Grimaldi, le ricette sono autentiche, collaudate, tutte effettivamente realizzabili a livello domestico-familiare. Semplici e, aggiungo, essenziali: senza che ci sia bisogno dell’ausilio dello chef. Adatte a chi vuol mangiar sano e bene. Ecco il merito principale del suo libro. Chi vi farà ricorso non rimarrà deluso: perché ogni pietanza è descritta con cura, con garbo e con chiarezza, in modo da far recuperare anche alle persone più riottose, più “imbranate”,  il piacere di mettersi all’opera, di armeggiare con pentole, padelle, forno, con spezie e erbe aromatiche, con ingredienti genuini - prodotti di terra o di mare - “a chilometro zero”. Senza per forza il bisogno di elaborare ricette più complicate: limitandosi magari a uno spaghetto aglio e olio o a un salutare tegame di “alici di nonna Nannina”.
In Romeo e Giulietta di Shakespeare, alla scena II del IV atto, c’è questa battuta: “Per la madonna, signore, cattivo cuoco è colui che non sa leccarsi le dita”.
Noi qui stiamo parlando di persone, da mastro Camillo a Gemma, ai figli (e ora ai nipoti), che le dita se le sono leccate, e come! Ma che soprattutto hanno fatto – e fanno – leccare i baffi (o le labbra… fa lo stesso) ai consumatori delle loro pietanze.
Concludo esprimo a Teresa i miei complimenti più sinceri, con l’augurio che il libro incontri il migliore successo. Perché, al di là di ogni altra considerazione – i ricordi, gli affetti -   esso rappresenta un contributo importante, e di prima mano, alla conservazione della nostra memoria storica in materia gastronomia: un campo nel quale era maestro l’indimenticabile Ezio Falcone.

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