venerdì 2 agosto 2013

LA PRESENTAZIONE DEL MIO LIBRO A RAITO DI VIETRI SUL MARE. SORPRESA FINALE CON IL "DOLCESIGI" DELLA PASTICCERIA TRIESTE DI MAIORI

Raito, Villa Guariglia
Devo dar conto della presentazione del mio libro, l'altro giorno, nello scenario incantevole di Villa Guariglia, a Raito di Vietri sul Mare. Una bella serata, piacevole, che mi ha visto circondato da persone che mi stimano, mi vogliono bene. Con una sorpresa finale: quando l'amico Antonio Amato, della Pasticceria Trieste di Maiori, ha tirato fuori dei vassoi con tante porzioni del "DolceSigi", che hanno fatto la gioia di tutti i presenti. Un dolce di qualità eccelsa, come lo sono tutti quelli prodotti dalla pasticceria maiorese già famosa per i suoi deliziosi "sospiri". Non mi resta che dirgli grazie, dal profondo del cuore.
Di me e del mio libro hanno parlato Barbara Cussino, impeccabile "padrona di casa", Massimo Bignardi e Rino Mele. Pasquale De Cristofaro ha declamato alcune poesie. 
Panorama da Villa Guariglia
Prendendo la parola, in conclusione dell'incontro, ho detto che “Ho coltivato sogni” nasce dalla disponibilità dell’editore De Luca, in particolare dell’amico Andrea De Luca, che mi ha dato la possibilità di vederlo stampato, in pregevole veste grafica. E dalle sollecitazioni di Barbara Cussino, dirigente del Settore Biblioteche e Musei della Provincia, che già l’anno scorso ha voluto coinvolgermi nel progetto sull’arte della felicità, facendomi partecipare a due reading di poesia, che ricordo con grande piacere: a Giffoni Valle Piana, in corrispondenza con l’apertura del Giffoni Film Festival, e poi  a Raito. Da Barbara mi son venuti frequenti sollecitazioni affinché mettessi insieme e pubblicassi i miei versi.   Ecco, finalmente l’ho fatto.
Alla famiglia De Luca, alla quale sono particolarmente legato (tanto da considerarla  la mia seconda famiglia), e a Barbara Cussino esprimo la più viva riconoscenza. Come la esprimo al maestro Cosimo Budetta, che – senza che neppure glielo avessi chiesto - mi ha fatto dono del prezioso disegno che arricchisce la copertina del libro.
Sigismondo Nastri
Mamma mia, che sensazione  vedere qui, venuti per me, due protagonisti di primo piano della cultura salernitana:  Rino Mele, autore della prefazione; Massimo Bignardi, reduce fresco dalla rielezione alla carica di direttore della Scuola di specializzazione in Beni storici e artistici dell’università di Siena; Pasquale De Cristofaro, regista, attore, docente di teatro.

Con Massimo Bignardi ho avuto tanti momenti di collaborazione da vent’anni a questa parte. Gliene sono profondamente grato. Del professore Mele, poeta, critico, letterato di di altissimo livello, sono un ammiratore devoto: da lui ho sempre da apprendere. Ogni primo lunedì del mese partecipo agli incontri letterari che conduce nell’auditorium di Salerno Energia. Mi sento onorato e commosso dall’aver potuto associare il suo nome al mio sulla copertina del libro.
Pasquale De Cristofaro, regista, attore, fine dicitore, l’ho conosciuto poprio nell’ufficio di Barbara Cussino. Già l’anno scorso, qui e a Giffoni, lesse alcune mie cose. Poi ci siamo visti periodicamente agli incontri letterari promossi da Rino Mele. Tra noi s’è instaurata una bella amicizia. Lo apprezzo tantissimo sul piano umano e su quello professionale. Ascoltare le mie poesie lette da lui, come lui le sa leggere, mi ha procurato una intensa emozione.
Massimo Bignardi, Rino Mele, Pasquale De Cristofaro
La poesia – l’ho scritto nel risvolto di copertina del libro -  mi serve per manifestare le mie emozioni, i miei sentimenti. Per raccontare momenti di vita vissuta. E’ una poesia autoreferenziale? Certamente sì, perché è da lì, dai sentimenti, dalle emozioni, che parte sempre l’ispirazione. Credo, del resto, che avvenga in tutte le arti. Da una emozione provata, da una sensazione particolare avvertita, da una soggettiva visione della realtà, nasce il bisogno di esprimersi con certe parole, e solo con quelle. Capita anche a me. Poi, ovviamente, c’è l’esigenza di renderne partecipi gli altri. Ed è quello che ho inteso fare, confortato dall'alto magistero di Ferdinando Pessoa: "Dalla più alta finestra della mia casa / Con un fazzoletto bianco dico addio / Ai miei versi che partono verso l’umanità. / E non sono allegro né triste. / Questo è il destino dei versi. / Li ho scritti e devo mostrarli a tutti / Perché non posso fare il contrario".
Antonio Amato, della Pasticceria Trieste
D’altronde, la poesia - oso dire - non è (o non dovrebbe essere) privilegio di una élite culturale, perché essa è connaturata all'essere umano. Non è neppure invenzione di oggi: ha percorso tutta la storia dell’umanità. Da quando ancora non era stata inventata la scrittura sillabica. Ho conosciuto persone, pressoché analfabete, in grado di esprimersi, in maniera addirittura coinvolgente, in forma poetica. Dunque, la poesia è un bene di tutti, una prerogativa di tutti, anche se ciascuno di noi l’ha nascosta nella propria anima. Come se fosse uno strumento musicale gelosamente conservato, mai usato. Salvo a farla emergere prepotentemente quando si prova una intensa emozione: davanti a uno spettacolo della natura – il mare, la montagna, la luna piena in una sera d’estate – o in conseguenza di un innamoramento o della fine di un rapporto. O anche quando insorge l’inquietudine, la collera, la disperazione per situazioni delle quali si è spettatori. Spettacoli, situazioni che magari abbiamo visto tante volte, ma che solo in quel momento, e per quello stato d’animo, riescono a ispirarci.
Mario Soldati, in un’intervista televisiva, chiese a Edoardo Sanguineti cosa fosse per lui la poesia. Egli la individuò nella ricerca di sé, della propria identità. E aggiunse che il poeta è come il minatore, solo che non scava nel sottosuolo ma nel proprio io. E quando crea una poesia, non sa perché l’ha scritta  né come l’ha scritta, né per quale bisogno. Certamente, non in esito a un ragionamento.
La mia preoccupazione, già manifestata, riguarda il futuro della poesia in una società - quella nella quale viviamo - sempre più preda di un progresso tecnologico destinato a condizionare irreversibilmente le giovani generazioni. Una società che vede i ragazzi impegnati a sostituire il nostro linguaggio col linguaggio, non so quanto più efficace, degli sms.  Ci ho provato anch’io, giusto per gioco, e non so con quale risultato.
E' una preoccupazione che mi riporta a uno scritto di Alberto Bevilacqua: “La collettività contemporanea  (ved.: “Difendiamo la sorgente dei sogni”, Corriere della sera, 13 giugno 2009, pag. 42)  sta subendo un processo riduttivo in cui il sogno, il mito, l’immaginazione vengono pugnalati dalla concretezza. Col rischio di società assopite, se non addormentate, ma prive di sogni. A favore del cinismo. Senza poesia, finiremo per non provare più umana sintonia con gli altri (e con noi stessi), semmai un calcolato esercizio dell’intelligenza. Abbiamo bisogno della poesia perché ci difende dal troppo rumore che frastorna e ci consente di ascoltare le suggestive parole con cui l’uomo dà vita al silenzio dei propri sentimenti”.

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