martedì 19 luglio 2016

MEMORIE DI UN OTTUAGENARIO. PICCOLA RIFLESSIONE (DIO MI PERDONI!) SUL PADRE NOSTRO: "NON C'INDURRE IN TENTAZIONE" E "LIBERACI DAL MALE"

“Non c’indurre in tentazione” chiediamo a Dio ogni volta che recitiamo il Padre Nostro. Il significato del verbo (lo prendo dall'autorevole dizionario Treccani) è “sospingere, mettere in una determinata situazione morale, o persuadere a fare qualche cosa”. Per esserne più sicuro controllo sul vocabolario latino (il vecchio caro Castiglioni-Mariotti) e trovo che “inducere” vuol dire “trascinare/condurre verso” e non sembra proprio che in questo caso si possa applicare a Dio. Tanto più che la preghiera ci è stata dettata da Gesù Cristo, suo unico figlio e nostro Signore.
Un'immaginetta - tratta dal web -
con la nuova versione del Padre nostro
rimasta inapplicata
Certo è che la tentazione accompagna tutta la nostra esistenza, è congeniale alla natura umana. Gesù stesso, fattosi uomo per la nostra salvezza, si trovò a dover respingere il diavolo, che ci aveva provato finanche con lui, intimandogli: "Non tentare il Signore Dio tuo"» (Matteo 4,7).
E allora – mi domando - come può essere che la Chiesa, per secoli, abbia conservato quella formula: “non c’indurre in tentazione” (ne nos inducas in temptationem)?
Qualcosa, evidentemente, non quadra nella traduzione, dall’originale testo ebraico o aramaico, prima in greco poi in latino, quindi nelle lingue moderne. La Chiesa – attraverso la CEI - vi ha posto rimedio, in tempi recenti, modificando “non c’indurre in tentazione” in “non abbandonarci alla tentazione”. Ma questo nuovo testo, non so perché, è rimasto inapplicato. Ogni volta che, durante la celebrazione eucaristica, siamo chiamati a recitare,  all’unisono, il Padre Nostro avverto un momento di difficoltà: vorrei addirittura sostituire  "non c’indurre” con “non farci cadere in tentazione”, che mi sembra più chiaro, più corretto, più plausibile. Però mi adeguo al comune... sentire. So che nella Chiesa c’è stato anche il tentativo di dare  al “liberaci dal male” un senso più esplicito: “liberaci dal maligno”, cioè dall'artefice di tutti i mali e le nefandezze del mondo: individuali e collettive. Del resto, è Gesù stesso a rivolgersi al Padre in questi termini: “chiedo che tu li custodisca dal maligno”,  Giovanni 17,15).
«La liberazione delle liberazioni – nota don Francesco Carensi, docente di Sacra Scrittura alla Facoltà Teologica dell'Italia Centrale - è dalle opere del Maligno, che sono sempre sofferenza, violenza e morte. È la presenza del maligno, che tenta, seduce e opprime quanti, accogliendo le sue suggestioni, possono diventare figli del maligno (Matteo 13,38). È colui che sradica dal cuore la parola di Dio (Marco 4).»

© Sigismondo Nastri

Nessun commento:

Posta un commento