domenica 24 marzo 2013

L'AMORE PER IL CILENTO E LA COSTA D'AMALFI NELLE "LETTERE POSTUME" DI GIUSEPPE LIUCCIO

“Absit iniuria verbis”: Giuseppe Liuccio ha due amori. Uno, istintivo, che gli viene dal suo stesso DNA; l’altro, generato da una lunga, feconda frequentazione, sia pure caratterizzata da tante battaglie. A scanso di equivoci, voglio dire che l’amico Peppino è “innamorato pazzo” della sua Trentinara e dell’intero Cilento anche se le vicende della vita lo hanno portato a trasferirsi nella capitale. Lo sapevo già, ne ho avuto la prova l’altra sera, alla presentazione del suo ultimo libro, quando – allo “sciogliete le righe”, dopo la brillante relazione di Francesco D'Episcopo,  presso il Circolo ufficiali del Presidio Militare di Salerno – ha voluto declamare “Chesta è la terra mia”, una lirica appassionata, di forte carica emotiva, scritta in puro cilentano, dedicata al luogo che gli ha dato i natali: “Si viri nu paese abbandunato / co quatto case nzimma no sderrupo, / na vecchia ca è cchiù vecchia re le mmura, / cchiù ghianca re le pprete re la via, / Chesta è la terra mia! …”. L’altro amore è per la Costa d’Amalfi, dove ha vissuto molti anni, insegnando, formando generazioni di giovani, svolgendo intensa attività politica. E’ stato amministratore comunale di Amalfi, presidente dell’Azienda di soggiorno e turismo della stessa città, in tempi più recenti amministratore di quella di Maiori. Ancora oggi collabora alle iniziative del Gustaminori. L’idea, l’organizzazione e la valorizzazione del concorso di letteratura gastronomica legato a quella manifestazione portano il suo marchio di fabbrica (con la complicità del caro indimenticabile Ezio Falcone).

Giuseppe Liuccio, a destra, con Salvatore Quasimodo
Il libro di Liuccio, presentato al Circolo ufficiali del Presidio Militare di Salerno, in via san Benedetto, è “Terre d’amore: Cilento e Costa d’Amalfi”, un romanzo-epistolario, edito da Delta3 di Grottaminarda, in nitida veste grafica. Romanzo, dato che i vari capitoli, per così dire, hanno un filo conduttore, rappresentato dal rapporto intenso con i due territori, con la loro storia, con i loro personaggi mitici e reali; epistolario, perché strutturato in forma di lettere. E se, da un lato, c’è quella indirizzata alla Sirena Leucosia, che non riuscì a sopravvivere alla vergogna di aver sedotto l’astuto Ulisse e si suicidò lanciandosi in mare, commuovendo Giove, che la trasformò in scoglio (Punta Licosa), dall’altro ce n’è una diretta alla Ninfa Amalfi, la fanciulla amata da Ercole, il quale alla morte di lei volle seppellirla nel posto più bello del mondo: la città che ne tramanda il nome.

In sostanza, il libro si divide in due parti: la prima riguarda il Cilento; la seconda, la Costa d’Amalfi. I destinatari delle missive, che sono vere dichiarazioni d’amore, sono, via via, Palinuro, nocchiere di Enea; Parmenide, filosofo e medico, fondatore della Scuola Eleatica; Libero Spartaco, gladiatore trace, protagonista di una battaglia dalle parti di Trentinara; il canonico Antonio De Luca, eroe e capo della rivolta cilentana del 1828; Carlo Pisacane, rivoluzionario e patriota, rimasto famoso per la Spedizione di Sapri; Costabile Carducci, capo carismatico della Rivoluzione cilentana del 1848; Andrea Torre, che fu ministro della Pubblica istruzione nel secondo governo Nitti; Paolo Prisciandano, pittore, militante socialista, perseguitato dal fascismo. Questi i cilentani.  
Per ciò che riguarda la costiera amalfitana, le lettere sono dirette a: Giovanna D’Aragona, duchessa d’Amalfi, la cui infelice storia d’amore ha ispirato una novella di Matteo Bandello e le tragedie di John Webster e Lope de Vega; Flavio Gioia, mitico inventore della bussola;  i Protontini e Naucleri dell’antica Repubblica marinara, signori del mare;  Mansone I, doge di Amalfi;  Pantaleone de Comite Maurano, il ricco mercante che donò le porte di bronzo al duomo di Amalfi; Lorenzo d’Amalfi, benedettino, personaggio di grande cultura;  Marino Del Giudice, arcivescovo, a cui si deve la copertura del fiume che attraversa Amalfi;  Fra’ Gerardo Sasso, scalese, fondatore dell’Ordine di Malta;  il cardinale Pietro Capuano, che portò da Patrasso ad Amalfi le spoglie mortali dell’apostolo Andrea; l’arcivescovo Filippo Augustariccio, che fece costruire il Chiostro del Paradiso; Masaniello, atranese, il pescivendolo capopopolo artefice dei moti rivoluzionari del luglio 1647 a Napoli;  lo storico Matteo Camera, autore di un’opera monumentale: “Memorie storico-diplomatiche dell’antica città e ducato di Amalfi; il pittore Pietro Scoppetta, protagonista della belle époque; Henry W. Longfellow, poeta americano, traduttore della Divina Commedia, innamorato di Amalfi;  Nicola Milano, cartaro e storico della carta, fondatore del museo della carta ad Amalfi; Francesco Amodio, sindaco di Amalfi per lunghi anni, poi deputato per quattro legislature; il già citato Ezio Falcone, ricercatore e cultore della gastronomia del territorio universalmente apprezzato.
Scendere nei dettagli mi ruberebbe molto spazio e toglierebbe il piacere della lettura di un’opera che è, insieme, poesia, storia, memoria. Ma anche,  nota Nicola Prebenna nella prefazione, “il grido disperato di chi, non rinvenendo nei tempi presenti occasione di soddisfazione, ritiene che la riproposizione dei valori e dei messaggi che hanno animato l’esistenza di tanti grandi del passato possa costituire uno sprone forte a riscoprire l’orgoglio delle origini e l’ambizione di poterne emulare le imprese”.  Perché, ce lo insegna Giuseppe Parini:  “Dall'alma origin solo | han le lodevol'opre. | Mal giova illustre sangue | ad animo che langue”. E, chi deve capire, capisca.

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