sabato 16 marzo 2013

TRENTACINQUE ANNI FA, IL RAPIMENTO DI ALDO MORO



16 marzo 1978. Trentacinque anni fa. Una data da non dimenticare. Mai. E' quella del rapimento di Aldo Moro, a Roma, in via Fani, e dell’uccisione dei cinque uomini della scorta. Un fatto drammatico, in un passaggio delicato della nostra vita politica e parlamentare. Era, infatti, il giorno della presentazione alla Camera dei Deputati del quarto governo formato da Giulio Andreotti, quello della “solidarietà nazionale”, con il determinante appoggio esterno del Partito comunista. Si trattava di una svolta, voluta proprio da Moro, che l’aveva anticipata in un suo discorso: “Noi siamo in condizione di paralizzare in qualche modo il Partito comunista e il Partito comunista è a sua volta in grado di paralizzare in qualche misura la Democrazia cristiana… Bisogna trovare un’area di concordia, un’area di intesa tale da consentire di gestire il Paese finché durano le condizioni difficili nelle quali la storia in questi anni ci ha portato”.

Da sinistra: Sigismondo Nastri, Francesco Amodio, Aldo Moro




Il rapimento fu rivendicato due giorni dopo con  il primo dei nove raccapriccianti comunicati delle Brigate Rosse. In 55 giorni di prigionia Moro scrisse 86 lettere (indirizzate per lo più ai familiari, a uomini politici; ma anche a Gaetano Afeltra, direttore de “Il Giorno”), con le quali tentò di spingere a una trattativa per la sua liberazione. In suo favore intervennero accoratamente il papa, Paolo VI, e il segretario dell’ONU Kurt Waldheim. In Italia il mondo politico si divise tra quanti - compresa una buona parte della dirigenza della Democrazia cristiana - erano contrari a ogni ipotesi di dialogo con le Brigate Rosse, e il cosiddetto “partito umanitario”, capeggiato da Bettino Craxi. Vinsero, ahimé!, i "falchi" e, conseguentemente,  il presidente della Democrazia Cristiana fu abbandonato al suo destino.
Risultato: il cadavere di Moro, assassinato dalle Brigate Rosse, fu fatto trovare il 9 maggio, nel vano bagagli di un’auto – una Renault 4 rossa – parcheggiata a Roma, in via Caetani, nei pressi delle sedi della Dc e del Pci. 
Moro era un uomo schivo e riservato, quasi timido, con le sue debolezze, i suoi hobby, con un culto sacro della famiglia. Un uomo dotato di grande intelligenza, di straordinaria sensibilità, animato da una  profonda religiosità.  Ma, nello stesso tempo, un politico capace di vedere oltre il contingente,  di elaborare tattiche e strategie proiettate nel futuro, di mediare tra opposte tendenze per dare un contributo fondamentale alla democrazia, alla convivenza civile, al progresso economico dell’Italia. 
Ebbi la fortuna di conoscerlo, di stringergli la mano, in occasione di una sua venuta ad Amalfi.
Lo prendano a modello - di vita e di impegno - i politici che hanno nelle mani, oggi, i destini del nostro paese. Se ne sono degni, ovviamente, se ne sono capaci.

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