domenica 10 agosto 2014

"GIOIA FELICITÀ", UN FOULARD DI IRENE KOWALISKA



Ho bene impresso nella memoria il volto di quella signora che, nella prima metà degli anni Cinquanta, veniva nella tipografia amalfitana di Andrea De Luca, situata accanto agli antichi arsenali, dove io facevo le prime esperienze di lavoro, per ritirare dei cartoncini colorati, destinati allo scambio di auguri, sui quali erano impresse le sue inconfondibili ‘figurine’. Di lei, Irene Kowaliska,  conoscevo poco o niente, a quel tempo.  Riuscivo, però, ad apprezzarne il garbo, la gentilezza. Mi piacevano quei piccoli disegni, tanto che cercavo sempre di trattenerne qualcuno. Se mi metto a rovistare nel disordine delle mie carte è possibile che riesca ancora a trovarne.  L’esplosione della “moda Positano”, come liberazione dai canoni classici dell’abbigliamento femminile imposti dalle case di moda, richiamava su questo paese della costa l’interesse dei media di tutto il mondo. Edna Lewis vi aveva aperto l’Art Work Shop, frequentato da giovani artisti d’avanguardia provenienti da ogni parte.
Irene Kowaliska abitava alla Casa Setteventi: si era trasferita a Positano dopo che negli anni trenta, a Vietri sul Mare, aveva dato impulso, con la colonia dei tedeschi, a un profondo rinnovamento della ceramica. Qui il suo interesse si volgeva ad altre tecniche decorative: il vetro, il ricamo, la pittura su stoffa, apprezzata dalle sartorie locali e, superata qualche perplessità, da ateliers nazionali. Lo documentano certe copertine di riviste dell’epoca, sulle quali le star del momento indossano vestiti realizzati con le sue stoffe. Basti ricordare Ingrid Bergman che, nel 1950, si fece ritrarre su Cinémonde con una gonna dipinta a mano dalla Kowaliska.
Lo stesso tratto leggero dei cartoncini, che portava a stampare ad Amalfi, lo trovo nel foulard di cachemire, a fondo giallo, conservato  nel museo di Villa De Ruggiero a Nocera Superiore. Il disegno, in nero, posto a rombo, chiuso in un rettangolo con motivi ornamentali, caratterizzati dalla scritta “Gioia felicità” ripetuta tutt’intorno, mostra una scena di grande tenerezza, forse velata da un substrato di malinconia o magari – per coerenza con quella scritta – di felicità intima, da non manifestare pubblicamente per non turbarla: un ragazzo e una ragazza che camminano accostati spalla a spalla, cuoricini, il sole che dà luce dall’alto; lui reca dei pacchetti-dono appesi a dei fili, lei ha un minuscolo albero di Natale  in mano. È la stessa tenerezza già riscontrata in una targa di ceramica che Irene Kowaliska disegnò nel 1955 per l’INA-Casa, giudicata da Eduardo Alamaro “forse la più bella immagine che ci sia capitato di vedere intorno all’idea di ricostruzione post-bellica”: un gruppo familiare raccolto in una capanna. Sia in questo foulard, sia in quella mattonella, gli elementi distintivi della sua produzione artistica vi sono tutti: “a mixture of primitive, Byzantine and modern”, come lei sottolineava. Il disegno è semplice, e lo era il suo modo di essere, perché “la semplicità – diceva rende meno dura la vita”.  Salvo che "quanto più semplici e facili da copiare appaiono le sue figurazioni, tanto più incolmabile diventa la distanza che essa impone con la sua bacchetta magica” (E. Alamaro, F. Donato,  in ‘Irene Kowaliska un’artista una donna un mito’). 
L’accostamento a “les amoureux” di Raymond Peynet – i cosiddetti “fidanzatini”, simbolo dell’armonia nel rapporto di coppia – è fin troppo evidente. “Immaginate come sarebbe una vita senza amore – scriveva Peynet. -  Giorni e giorni senza sole, notti e notti senza stelle.  L’amore è necessario alla vita quanto il sangue che scorre nelle nostre vene.  Per questo ho creato un piccolo mondo tutto particolare, fatto di sogni, d’amore e di poesia”. Un mondo di felicità. Vale anche per Irene Kowaliska.
© Sigismondo Nastri (da: L’arte della felicità, Provincia di Salerno, 2012)

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