venerdì 6 maggio 2016

CORRUZIONE. IL RITO DELL'AUTOSOSPENSIONE DAL PARTITO CONTINUANDO A CONSERVARE LA POLTRONA

Seguo i telegiornali, i dibattiti in TV,  leggo i quotidiani. Mi faccio delle idee, ma non punto il dito contro nessuno. Vorrei solo che le inchieste arrivassero in porto, senza perdersi nelle nebbie della prescrizione come solitamente avviene.
Solo per i poveri diavoli, che non possono ricorrere a grandi avvocati, capaci di mischiare le carte, trovar cavilli a ogni pie' sospinto, si giunge alle condanne (o assoluzioni, ovvio). Questo non è giusto né equo in una società civile.
Sono garantista, lo dovrebbero essere tutti, nei confronti di tutti. Ma c'è una regola (non scritta) che andrebbe rispettata: chi fa politica, chi è chiamato (attraverso il voto) a rappresentare il popolo nel parlamento, in regioni,  province, comuni,  ecc., dovrebbe essere sempre e comunque al di sopra di ogni sospetto.
Non fa ridere il fatto che un inquisito o un condannato (sia pure al primo grado di giudizio)  si  autosospenda dal partito, continuando a mantenere la poltrona, con annesse prebende? Una ragione in più per definire malato il nostro sistema democratico.
A guardarmi in giro non trovo però medici capaci di curarlo. Povera Italia!

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