martedì 4 giugno 2013

I FRANCOBOLLI DELL'UNIONE SOVIETICA



In municipio si conservava - spero che ci sia ancora - copia di una lettera, indirizzata al sindaco Nicola Casanova ai primi del Novecento, nella quale Giovanni Amendola dichiarava le sue origini amalfitane. Meglio, pogerolesi. Non so dire se s’era trattato di un gesto di omaggio alla città - reso dall'autorevole intellettuale, parlamentare e statista liberale, morto in esilio nel 1926 per le conseguenze di una vigliacca aggressione subita dai fascisti - o se l’affermazione era suffragata da documenti d’archivio. Resta il fatto, però, che anche il figlio Pietro, deputato comunista, mantenne, nel suo lungo percorso politico, un rapporto privilegiato con Amalfi.

Nel corso della campagna elettorale del 1953 fui presente a tutti i discorsi da lui tenuti  in Costiera. Giovane attivista democristiano, avevo avuto il compito di annotare quello che egli andava sostenendo. Dovevo poi riferirlo agli oratori della Dc per metterli in condizione di replicare.  Una volta se ne fece carico, parlando dal balcone di palazzo Gambardella in piazza Duomo (quello della pensione di Zarino Di Pino, al primo piano, lato Porta della Marina, solitamente utilizzato per i comizi), Carmine De Martino, l’industriale salernitano che proprio in quella circostanza fu eletto deputato (poi, nel corso della stessa legislatura, divenne anche sottosegretario agli Affari Esteri). Lo fece in maniera maldestra. Prima, perché mi tirò in ballo con l’espressione “dagli appunti che l’amico… mi ha fatto leggere…” (e indicò me, che ero dietro di lui), poi perché nella foga di attaccare l’URSS gli scappò di affermare che era un paese arretrato dove –  aggiunse - non esistevano nemmeno i francobolli. “Ne avete mai visto uno?” chiese alla folla dei  sostenitori che, senza neppure rendersi conto della gaffe, appaludirono calorosamente.

Il giorno dopo il Pci espose in una bacheca una bella raccolta di francobolli dell’Unione Sovietica. Ma io stesso ne possedevo perché, nonostante la cortina di ferro, che separava l'Occidente dal blocco sovietico, ero in rapporti con un giovane di Baku che me li mandava puntualmente col timbro del primo giorno di emissione. A mia volta, gli spedivo libri d’arte. Per questo scambio di corrispondenza fui oggetto d’attenzione da parte dei nostri servizi segreti. Un agente venne ad Amalfi  a chiedere, riservatamente, informazioni sul mio conto. E a chi si rivolse? A mio padre, che era impiegato al Comune.

© Sigismondo Nastri (in: "Racconti dalla Costa")
 



 

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