mercoledì 19 giugno 2013

PROCESSO ALLA... SCORREGGIA



Il cinema Diana, ad Amalfi, era situato lungo la scalinata che dalla via principale, quella che conduce alle cartiere, s’inerpica fino al rione san Giacomo.  Articolato su due livelli, aveva la platea sotto, la loggia sopra. Era piccolo, con poco più di cento posti a sedere, ma di gente ne entrava a iosa, da riempirlo come un uovo,  tanto che a volte ti veniva meno il respiro. Le persone rimaste in piedi erano costrette a starsene per un’ora, un’ora e mezza appoggiate alle pareti o aggrappate l'una all'altra.   
I due operatori in cabina, Totonno e Gigino, disponevano di un potere assoluto: coprivano lo sportellino del proiettore per impedire la visione di immagini a quell’epoca ritenute spinte,  aumentavano e abbassavano a loro piacimento il volume del sonoro, interrompevano drasticamente la proiezione anche per il più futile dei motivi. Tagliavano spezzoni di pellicola per ridurre la durata del film.  Dalla sala, spesso, si levava un coro assordante di schiamazzi, urla, insulti. Le ho ben presenti queste scene. Come mi ricordo che, a film appena iniziato, c’era chi apriva la porta di sicurezza, in fondo alla sala, per far entrare un esercito di ‘portoghesi’. Per lo più adolescenti. Era una sorta di assalto alla Bastiglia – riferisce Aniello, il proprietario -; dieci ragazzi facevano la colletta tra loro per acquistare un solo biglietto, che consentiva a uno di loro di accedere regolarmente nella sala; poi, nella semioscurità, apriva la porta di sicurezza lasciando entrare di straforo tutti coloro che avevano partecipato alla colletta. Come dire (per usare il linguaggio delle promozioni nei supermercati): paghi uno e prendi dieci. Ma, come in un vero film, ecco che arrivava la… polizia: Aniello e il padre, individuati gli 'abusivi', li prendevano per le orecchie e li cacciavamo fuori. Tutto si svolgeva come in un western saloon che si rispetti… Senonché, di lì a poco, il clan tornava alla carica. E a questo punto non ci rimaneva che far finta di non vedere.

Il racconto si conclude con la ricostruzione di un episodio sconvolgente e, insieme, esilarante. Una sera era in programma una pellicola importante, di quelle che tengono lo spettatore  col fiato sospeso fino ai titoli di coda. La sala, piena. Il silenzio, assoluto - come di rado capitava -, fu rotto, all'improvviso, da una scorreggia. Possente, da sembrare un petardo. Chiara la provenienza dalle ultime file, occupate da un'orda di giovinastri. Ricordo che sulla parete di un ristorante italiano di Parigi, in via Cardinale Lemoine, lessi una volta questa frase:  "Tromba di culo sanità di corpo / e chi non scorreggia è mezzo morto": in questo caso, però, il limite della decenza era stato abbondantemente superato.  Il pubblico la prese a ridere, non così un brigadiere dei Carabinieri che ordinò di accendere le luci; quindi si premurò di annotare uno per uno i nomi di quei discoli. Scoperto il responsabile, lo convocò l'indomani in caserma dove gli notificò una denuncia all'autorità giudiziaria per schiamazzo in luogo pubblico. 
Il giorno del processo, l’aula della pretura dava l'idea di uno stadio in occasione di un derby calcistico: tutto esaurito. L’imputato si difese: “Signor giudice, m’è venuta spontanea. Non sono riuscito a trattenerla. La mia attenzione era tutta catturata dalla vicenda del film…”. La sentenza fu di assoluzione, perché “il fatto non costituisce reato”.

© Sigismondo Nastri (da: Racconti dalla costa)

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