venerdì 12 aprile 2013

SALERNO, DAL 18 APRILE LA MOSTRA DEL PITTORE ADRIANO PAOLELLI ALL'ARCHIVIO DELL'ARCHITETTURA CONTEMPORANEA



C’è una frase di Jackson Pollock che mi torna subito alla mente mentre osservo, nella sua bottega-studio, a due passi da casa mia, i più recenti dipinti di Adriano Paolelli, che saranno esposti dal 18 al 25 aprile nella bella sala dell’Archivio dell’Architettura Contemporanea in via di Porta Elina a Salerno. “L'arte astratta – diceva il pittore americano, uno dei protagonisti dell’Action painting -  dovrebbe esser goduta come la musica". Vero. 
Adriano Paolelli
Ci vuole uno stato d’animo particolare, come avviene quando si assiste a un concerto, per guardare un dipinto o una scultura, partendo dal presupposto che l’arte - questo l’ammonimento che ricevetti, da ragazzo, da un illustre personaggio - non è “la donna di tutti”. Di fronte a un'opera di impianto figurativo, magari, se non sei un esperto, un iniziato, rimani comunque attratto dalle forme, siano esse figure, oggetti, paesaggi, interpretate dall’artista  in aderenza alla sua sensibilità. 
Nell’astratto, invece, e mi riferisco in particolare a Paolelli, pervenuto a questa esperienza attraverso un intenso percorso che ha esplorato anche altre vie - nella pittura, nella scultura, nella ceramica -, le immagini, pur provenienti dal mondo reale, si sciolgono in macchie, dando origine a quello che Paolo Romano, nella presentazione della mostra, definisce “oggetti assenti”. Qui, sia ben chiaro, dove  il reale diventa non-reale, il visibile non-visibile, l’essere si trasforma in non-essere, l’astrattismo non scade mai in vuoto decorativismo. Tutt'altro. Nell'opera d'arte - e vale soprattutto per l'arte astratta - conta non tanto quello che si offre alla vista, e che vi è rappresentato, ma quello che in essa riusciamo a  "leggere", anche se non è espresso discorsivamente. In Paolelli la estrema semplificazione - assenza addirittura - del segno grafico, contrapposta alla esaltazione dell’apparato cromatico, è manifestazione palese della sua spiritualità,  del suo   mondo interiore.
Dall’intreccio e dalla sovrapposizione dei colori, a volte realizzato in modo armonico, altre volte con  accentuati contrasti, nasce – cito ancora Romano – quella “preziosa tessitura  semiotica che Paolelli riesce a costruire, attraverso un severo processo di progressiva scarnificazione dei tratti che si oppone alla convenzionalità del linguaggio”.  Linguaggio, sottolineo, non volto a suggestionare lo spettatore, il fruitore dell'opera, ma a rendere manifesto, attraverso  un attento e abile uso della tavolozza, il “proprio vissuto emozionale”. Per questo – nota Paolo Romano -, “nel gioco delle combinazioni, il colore è matrice di tutti gli abbecedari, di tutti i parolieri, di tutti i dizionari: poche parole, sapientemente sottratte al caso e al caos, entrano come schegge verbali nelle galassie circoscritte nella tela dai colori ad olio”.

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