venerdì 24 maggio 2013

NEL RACCONTO DI ANTONIO ALFIERI, LA "STORIA DI UNA DONNA DELLA NOSTRA TERRA", CHE E' ANCHE TESTIMONIANZA DI UN'EPOCA, DI UN COSTUME (PER FORTUNA, ORMAI SUPERATO), DI TANTI PREGIUDIZI

Questo non è un giornale, è un blog: nel quale io riverso "i miei ricordi, i miei pensieri, le mie emozioni, le mie tensioni, persino (qualche volta mi capita...) le mie arrabbiature". Per abitudine non lascio spazio a interventi esterni e anche i commenti, quando mi arrivano, vengono sottoposti a "moderazione" prima di essere pubblicati. In questo caso, non mi sento di accantonare questa bella e significativa testimonianza  (riferita oltretutto a un'epoca, a un costume, a tanti pregiudizi) che l'amico Antonio Alfieri - figlio di Enzo, del quale sono stato compagno di lavoro e dal quale tanto ho appreso, ai tempi della prima giovinezza - mi ha fatto avere ieri. 
È il ricordo affettuoso di una persona a lui  cara, appena scomparsa, che anch'io  conoscevo, prima che si allontanasse da Amalfi. Ebbi modo di rivederla  a Rocca di Papa, nel cuore dei Castelli Romani, dove lei abitava. Mi accolse con grande festa. Era l'ottobre del 1958. Il Comune aveva incaricato Enzo e me di andare a Roma per ritirare al Gabinetto Nazionale delle Stampe alcune incisioni che erano state assegnate al museo civico di Amalfi (spero che ci siano ancora). Era morto, proprio in quei giorni, il papa Pio XII e a piazza san Pietro vidi una coda interminabile di gente che si recava a rendergli omaggio nella basilica.
Enzo ed io ci fermanno a Rocca di Papa due o tre giorni: e furono giorni bellissimi, soprattutto sotto l'aspetto gastronomico. La sera si andava in certe tipiche trattorie a mangiare l'abacchio e a bere l'ottimo vino dei Castelli, prelevato lì per lì nelle cantine scavate nel tufo.


Una storia,come tante che si perdono nel buio della notte…
Quella che in poche righe è concentrata è una storia, una delle tante che appartengono a milioni di vite che si accendono come stelle, attraversano la notte e poi scompaiono nel chiaroscuro del giorno nuovo. Nessuno le vede, nessun occhio umano le scruta, preso com’è dall’attenzione per la luna, ma sono milioni e milioni ed ogni notte ritornano a pulsare. È la storia di una donna della nostra terra, spentasi pochi giorni fa nei dintorni di Roma, con un sogno infranto: rivedere Amalfi, abbandonata in fretta circa 60 anni fa, quando, appena sposa, e con un bimbo di pochi mesi, fu inspiegabilmente lasciata dal marito, che si dileguò come nel nulla, abbandonando tutto, lavoro, famiglia e non dando piu’ alcun segno di sé… Una donna abbandonata e senza lavoro oggi non fa più notizia: ma la storia, contestualizzata in un’epoca decisamente diversa, aveva allora un clamore devastante per una società rigidamente clericale e maschilista, dove la sacralità della famiglia non ammetteva devianze o deroghe. Una situazione di quel tipo era causa di disagio, di emarginazione, di piccole umiliazioni per chi subiva l’onta dell’abbandono… Fu così che a quella donna, poco più che ventenne, con il sogno, distrutto, di essere il fulcro di una famiglia da crescere e portare avanti, come tante, nella sua terra natia, non restò altra scelta che concentrare tutta se stessa attorno a questa vita nuova e partire, andare lontano, alla ricerca di qualcosa che le consentisse di portare avanti questo progetto. Si trasferì prima ad Ostia, approfittando dell’ospitalità di una sorella, anche lei da poco sposata e, di lì, iniziò una lunga ricerca per un posto di lavoro. Grazie al sostegno e al fattivo intervento dei fratelli trovò occupazione  in una struttura ospedaliera che si apriva in quegli anni in un comune dei Castelli romani e fu così che, con un bimbo di appena un anno, iniziò un altro percorso di vita, fatto di lavoro e sacrificio, sacrificio e lavoro, rinunciando ovviamente a rifarsi una qualsiasi esistenza che non fosse votata a quella creatura. La sua vita, da allora (siamo a metà degli anni ’50) ad oggi è stata una parabola a senso unico, segnata da un unico filo di luce: la fede in Dio, il suo profondo credo, che le hanno consentito di superare ogni avversità, rinunciando a qualsiasi altra scelta di vita - ivi compresa quella di sciogliere un matrimonio (allorquando le leggi dello stato introdussero l’istituto del divorzio negli anni ‘70)  che si era infranto inspiegabilmente per un atto di viltà o di follia… Il padre di quel bimbo, ora divenuto sul posto un affermato professionista, scomparve infatti per sempre dalla sua vita e dalla sua terra, salvo ritornarvi qualche tempo fa per trascorrere gli ultimi anni e morire. 
Quella donna ha orgogliosamente condotto una vita fatta solo di lavoro e amore per quel figlio, attorno a cui ha concentrato tutta se stessa, vivendo in solitudine una condizione di assoluta dignità, nel silenzio e nella umiltà, che sono il segno distintivo di intere generazioni che hanno fatto grande il nostro paese. 
Parlavamo di una vita, spentasi qualche giorno fa, con un sogno spezzato: rivedere Amalfi, il paese natio. L’aveva espresso tante volte questo desiderio, che le è rimasto in gola fino a che ha avuto un filo di voce e, poi, le è rimasto negli occhi e nel cuore. Se ne è andata, dopo una sofferta agonia di due mesi trascorsi in ospedale, in punta di piedi, come era vissuta, come una stella, una dei milioni di astri che si accendono ogni notte al tramonto e poi scolorano nell’azzurro del giorno nuovo. 
La chiesetta dove si sono tenuti i funerali, in quel piccolo borgo della collina romana, tanto freddo, quanto bello e scomodo, era colma di tante persone, come lei, semplici, generose, umili, dignitose, accorse a testimoniare con la loro presenza un dolore e il lutto di una piccola, ma grande comunità, che l’ha conosciuta, l’ha amata ed apprezzata per la fierezza dei suoi sentimenti, per la sua integrità morale e spirituale, per la consacrazione fatta, senza condizioni, al lavoro ed alla fede.
Di lei, probabilmente, si perderà la traccia nel tempo, subentrerà l’oblio: una vita vissuta sotto traccia, in genere, non lascia segni esteriori… Ma una cosa, sì, questa storia ha lasciato dietro di sé: un esempio di come l’uomo, aggrappandosi alla dignità e all’orgoglio, riesca a superare ogni avversità, vivendo l’abbandono e la solitudine come valori fondanti e non come una diminutio della propria identità, del proprio ruolo sociale, della sua condizione umana e civile. E noi, in momenti di profonda crisi economica, sociale, di notevole degrado dei costumi, di epocali mutazioni culturali, possiamo, proprio attraverso tante piccole testimonianze come questa,  trovare alimento e riferimenti per non demordere e andare avanti…
È l’unica cosa che rimane, in fondo al tunnel: al di là del quale c’è, sicuramente, una luce inesplorata che consegnamo al grande mistero della vita e della morte.
                                                     Antonio Alfieri

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